La Cassazione, a Sezioni unite, con la Sentenza 15 marzo 2016, n. 5078 esprime una parola definitiva relativamente all’applicazione o meno dell’Iva alla “Tia 1”.
Ricordiamo a tal proposito che la Tia 1 è la tariffa di igiene ambientale prevista dall’articolo 49 del decreto legislativo 22/97 (il cosiddetto “decreto Ronchi”), suddivisa in due quote: una fissa e una variabile. La quota fissa è dovuta a fronte della copertura dei costi generali di gestione; la seconda, cioè la quota variabile, si riferisce invece alle spese per la gestione dei rifiuti prodotti dalle utenze. La Tia 2, invece, è la tariffa integrata ambientale prevista dall’articolo 238 del Codice dell’ambiente (decreto legislativo 152/06). Funziona in modo analogo alla Tia 1, anche se è stata qualificata entrata non tributaria dal Dl 78 del 2010.
In questo contesto la ricorrente, una società affidataria del servizio di smaltimento, aveva eccepito, chiedendo anche il rinvio alla Corte UE, la violazione o falsa applicazione degli artt. 13 co. 1 Direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile alle prestazioni di servizi rese da una società per azioni di diritto privato svolgente attività di impresa, I’esenzione soggettiva dall’Iva di diritti, canoni, contributi percepiti dagli enti pubblici per le sole attività od operazioni che essi esercitano in quanto pubbliche autorità. L’esenzione di cui all’art. 13 citato, sempre secondo la ricorrente si applicherebbe invece ai soli enti pubblici ed all’esercizio di attività in veste di pubblica autorità. Quanto alla prima condizione, la Corte di Giustizia avrebbe ripetutamente affermato che l’esenzione prevista dall’art. 4 n. 5, primo comma, della sesta direttiva non opererebbe laddove l’attività venga affidata ad un terzo, in posizione di autonomia, non integrato nell’organizzazione della pubblica amministrazione.
Le Sezioni unite, risolvendo alcuni contrasti specialmente tra quinta e prima sezione, rigettano invece tale tesi e con essa anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Ue, in quanto ritengono che la soluzione adottata dal giudice di appello sia invece conforme all’ordinamento comunitario.
Tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la cd. “Tia 1”, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici- nonché dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento ad IVA (artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633/1972).
Questo indirizzo è altresì conforme all’art. 13 della direttiva 2006/112 CE – secondo cui “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”.
Ma se l’aspetto autoritativo del prelievo è quello saliente, è da presumere che anche la TIA 2 e la TARI, aldilà della qualificazione giuridica loro attribuita, ovvero del “nomen”, rientreranno in questo quadro interpretativo.