L’Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32974 della Sezione Tributaria (Pres. Cirillo, Rel. Locatelli), respingendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate, conferma un precedente orientamento di carattere maggiormente rigoroso in materia di indagini finanziarie su conti formalmente intestati a persone diverse dal contribuente accertato.
Innanzitutto la procedura viene ritenuta corretta da un punto di vista normativo da parte dei Giudici di Leguttimità. Ciò in quanto nell’ambito dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, l’art. 32 comma primo n. 7 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prevede la facoltà dell’Ufficio di richiedere all’ente creditizio “documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto con i loro clienti” con una disposizione che dunque non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente accertato.
Ma per la Corte l’estensione anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti è possibile solo alla condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale. Tale disponibilità di fatto del conto deve essere quindi prima provata dall’Ufficio, affinché si possa applicare la presunzione (ancora una volta definita “legale”) secondo cui “gli importi riscossi” (versamenti), rilevati sui conti intestati o riconducibili di fatto al contribuente, devono essere considerati “compensi”, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente al quale spetta fornire la prova contraria alla presunzione, dimostrando che si tratta di somme comprese nella determinazione del reddito o che non hanno rilevanza reddituale.
Come abbiamo già osservato più volte il porre “a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 …..” (art. 32 DPR 600/73) è cosa ben diversa da una formula del tipo “se è vero A è vero B”, che è notoriamente alla base delle presunzioni legali (nel diritto tributario pochissime, si pensi per esempio alle differenze inventariali). Ma forse siamo noi che sbagliamo (in buona compagnia visto che a convegni di rilievo nazionale abbiamo sentito fare la stessa considerazione a persone di primissimo piano del mondo accademico e della stessa Suprema Corte).
Registriamo almeno sul punto specifico dell’onere probatorio, il fatto che l’esistenza di stretti vincoli familiari (nella specie rapporto di coniugio) tra il contribuente accertato ed il terzo titolare del conto, “per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, deve essere accompagnata dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettuale del contribuente accertato”.