Le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa Causa C‑712/17, presentate il 17 gennaio 2019, propongono alcune interessanti letture della normativa europea ed italiana (il rinvio alla Corte UE è avvenuto su iniziativa della CTR Lombardia).
In particolare l’avvocato generale ricorda come nella normativa comunitaria (Direttiva direttiva 2006/112/CE) il diniego della detrazione (e di un’esenzione fiscale) possa essere preso in considerazione non solo quando il soggetto passivo commette esso stesso un’evasione fiscale, bensì anche quando esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava a un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. E’ il caso delle operazioni soggettivamente inesistenti che ben conosciamo.
Non è viceversa chiaro se tale approccio rigoroso (diniego della detrazione a tutti i livelli di una catena di prestazioni) trovi applicazione anche quando, benché sia esclusa una frode in materia di IVA, talune operazioni fittizie siano finalizzate ad ottenere in maniera fraudolenta vantaggi ingiustificati di altra natura.
Nel caso specifico si era verificato un commercio circolare di energia elettrica nel quale un operatore aveva dapprima venduto e poi acquistato lo stesso quantitativo. L’Agenzia delle entrate supponeva che le operazioni fossero finalizzate a esporre nella contabilità delle società coinvolte importi elevati consentendo loro di ottenere un (migliore) accesso ai finanziamenti da parte degli istituti di credito, circostanza però contestata dalla società accertata. Nel caso specifico però risultava pacifico che l’IVA esposta in fattura in relazione a dette operazioni di acquisto e cessione di energia elettrica è stata puntualmente e regolarmente versata e portata in detrazione dal rispettivo destinatario della prestazione. Quindi per l’erario non ne è derivato alcuno svantaggio in termini di gettito IVA. In base alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, è esclusa in particolare ogni possibilità di una cosiddetta «frode carosello».
Per l’AG i fatti come illustrati non escludono necessariamente l’esistenza di operazioni reali (vale a dire, realmente compiute). Poiché nel caso di operazioni aventi ad oggetto la cessione e l’acquisto di energia elettrica tra i relativi distributori non si verifica mai un trasferimento materiale di detto bene, ma vengono unicamente acquistati e ceduti (di norma, per via elettronica) diritti di prelievo di corrente. Dunque non si rendono a tal fine necessari specifici atti di trasferimento. Pertanto, il giudice del rinvio dovrebbe valutare attentamente se non sussistano, invece, operazioni reali.
Ricordando la normativa interna e comunitaria l’AG menziona l’articolo 21, comma 7, del decreto n. 633/72 che prevede quanto segue: «Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura». Ricorda altresì che l’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471 (Violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto), permette all’amministrazione tributaria di irrogare una sanzione amministrativa pari all’ammontare della detrazione denegata (oggi il 90%).
L’articolo 168 della direttiva IVA autorizza il soggetto passivo alla detrazione solo ove siano soddisfatte determinate condizioni. Difatti, da una parte, il soggetto passivo deve effettuare esso stesso delle operazioni e, dall’altra, esso può detrarre unicamente l’IVA dovuta o assolta per beni che gli vengono ceduti da un altro soggetto passivo. In conformità all’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva IVA, l’energia elettrica è assimilata a un bene materiale. L’articolo 203 della direttiva IVA stabilisce quanto segue: «L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura». Quindi l’IVA va riscossa anche su cessioni inesistenti.
L’Avvocato Generale conclude: “In caso di operazioni fittizie, gli articoli 168 e 203 della direttiva 2006/112/CE non ostano al contemporaneo riconoscimento di un debito di imposta, basato su una fatturazione, e di un diniego della detrazione (anche ripetuto in caso di catena circolare di prestazioni), a condizione che il debito di imposta ex articolo 203 della direttiva IVA possa essere rettificato non appena sia escluso un rischio di perdita di gettito fiscale. In un caso siffatto, è certamente possibile sanzionare l’emissione di una fattura errata; tuttavia, una sanzione pari all’intero importo – non detraibile – dell’imposta sulle operazioni fittizie a monte è sproporzionata qualora una corrispondente imposta sul valore aggiunto sulle operazioni fittizie a valle sia stata assolta e, pertanto, non vi sia stato alcun rischio di perdita di gettito fiscale”.
Infatti la sanzione del 100% del tributo viola il principio di proporzionalità, come già si è detto in passato per una sanzione del 50% (causa C-564/15). Ma sul punto la normativa dell’epoca è stata modificata prevedendo la sanzione generalizzata del 90% (anziché il 100%) del tributo e la sanzione fissa da 250 euro a 10.000 nel caso in cui l’iva sia stata effettivamente assolta dal cedente.
Rimane il principio per cui, una volta escluso il rischio di perdita fiscale si debba rettificare il debito IVA. Passaggio motivazionale che, se confermato dalla sentenza, potrebbe essere molto importante in situazioni analoghe.