La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza 15 febbraio 2019 n. 4576 (Pres. Campanile, Rel. Cataldi) affronta il caso di un commercialista che ha chiesto rimborso IRAP in relazione ai compensi percepiti quale direttore generale di una A.S.L. e quale membro dei collegi sindacali di alcune società commerciali, deducendo di non essersi avvalso per le sue attività di personale dipendente e di possedere una minima dotazione di beni strumentali, necessaria e destinata esclusivamente alla tenuta della propria contabilità ed al necessario aggiornamento professionale.
Il professionista era risultato vittorioso in CTR e, nel ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduceva che la sentenza di appello si era basata sull’errato assunto che il professionista svolgesse una attività di tipo “parasubordinato”, cosa non vera in relazione alla tipologia contrattuale in essere all’epoca con la A.S.L., tipicamente di lavoro autonomo.
La sentenza è interessante perché ripercorre una copiosa e dettagliata giurisprudenza in tema di prestazioni effettuate da commercialisti verso soggetti dotati di una organizzazione propria e dunque caratterizzate dal fatto che il professionista si sia avvalso di strutture riferibili all’altrui organizzazione e all’altrui interesse (consigli di amministrazione, collegi sindacali….).
La Corte prima confuta l’eccezione dell’Agenzia in relazione alla tipologia di lavoro svolto, rilevando che la sentenza di appello non attribuisce in realtà la connotazione di lavoro subordinato alle prestazioni svolte e comunque non poggia su questo elemento la propria motivazione.
Poi precisato l’orientamento per cui l’IRAP non si applica quando il professionista svolga la propria opera in strutture di terzi e senza autonoma organizzazione, la Corte fa presente che la sentenza della CTR impugnata, in punto di diritto, non si è discostata da tale orientamento, atteso che – dopo aver richiamato Corte cost. n. 156 del 21 maggio 2001, oltre a precedenti di legittimità – ha proceduto, nel caso di specie, «[…] all’accertamento della esistenza o meno di una certa organizzazione avente caratteri ulteriori (quid pluris) rispetto all’apporto personale del professionista». Né peraltro, con riguardo all’imputazione dell’onere della prova, il giudice a quo ha formulato affermazioni contrastanti con i principi richiamati, avendo rilevato la carenza della prova contraria, da parte dell’Agenzia delle entrate, solo dopo aver dato atto che l’istruttoria, con il contributo del controricorrente, aveva comunque escluso la sussistenza degli elementi di fatto costitutivi di un’autonoma organizzazione, con specifico riferimento alle strutture nelle quali veniva prestata l’attività, agli immobili destinati o meno a studi professionali del contribuente ed agli altri beni strumentali adoperati da quest’ultimo”.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene pertanto respinto.