Imposta sulla pubblicità: dalla Cassazione una lettura rigorosa riguardo ai termini di approvazione delle tariffe. Si apre la strada alle richieste di rimborso.

Torniamo indietro di due mesi circa, per segnalare una ordinanza della Sezione Tributaria che al momento del deposito non avevamo intercettato. Lo facciamo perché sulla stampa specializzata di oggi si prefigura la possibilità di attivare delle istanze di rimborso in materia di imposta sulla pubblicità proprio in virtù della pronuncia di cui si parla.

Si tratta della Ordinanza 16 gennaio 2019, n. 949 della V Sezione della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. Billi).

La questione riguarda l’applicazione dell’articolo art. 3, comma 5 del D.Lgs. n. 507 del 1993,  come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 10, comma 1. Detta norma prevede infatti che “le tariffe dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni  sono deliberate entro il 31 marzo di ogni anno e si applicano a decorrere dal  1° gennaio del medesimo anno. In caso di mancata adozione della  deliberazione, si intendono prorogate di anno in anno”.

Secondo la Corte Da questa disposizione, di rango primario, si evince dunque che le tariffe in questione devono essere fatte oggetto di una specifica delibera comunale; la cui emanazione – soltanto legittima l’applicazione retroattiva (dalla data di adozione al 1 gennaio del medesimo anno) di una tariffa che, altrimenti, non potrebbe sottrarsi al regime generale di irretroattività della norma impositiva. Ferma dunque restando la vigenza della rideterminazione tariffaria dal 1 marzo 2001 (data a partire dalla quale le nuove tariffe potevano essere recepite dalle amministrazioni comunali), la concreta applicabilità di essa presuppone che, secondo quanto stabilito dalla legge istitutiva, intervenga una delibera di recepimento da parte del Comune; in assenza della quale “si intendono prorogate di anno in anno” le tariffe già adottate. Posto che anche le delibere di recepimento debbono essere emanate entro il 31 marzo di ogni anno, si evince che – in caso di adozione successiva – le nuove tariffe non possano valere che a decorrere dal 1 gennaio dell’anno seguente” (Cass. n. 8274 del 2018)”.

Lo stesso testo normativo che ha modificato l’articolo predetto, ovvero la L. 448 del 2001, ha previsto (art. 27 comma 8) anche che venisse sostituito l’art. 53, comma 16, della legge n. 388/2000, n. 388, nei termini seguenti: “Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF […] e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonchè per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento”.

Quindi la L. 448/2001 finisce per contenere due diverse disposizioni sui termini di approvazione delle tariffe. Una specifica per l’imposta sulla pubblicità e una generica per tutti i tributi locali, che si allinea col termine per approvare il bilancio di previsione del Comune.

Siccome i termini di approvazione dei bilanci di previsione sono stati spostati in avanti molte volte, è accaduto (come nella vicenda specifica) che i Comuni abbiano approvato le tariffe (compresa quella dell’imposta sulla pubblicità) ben oltre il 31 di marzo.

Quello che la Cassazione afferma è chiarissimo.

Nel caso si sia verificata l’approvazione della tariffa dell’imposta sulla pubblicità oltre il 31 marzo, vale la norma specifica: col risultato che gli aumenti non avranno valore dal 1° gennaio dell’anno in corso ma da quello successivo. Si apre dunque le possibilità di chiedere il rimborso di quanto pagato in eccesso.