Negli ultimi due anni si è assistito ad un progressivo consolidamento, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, del filone che vede la possibilità del recupero IVA in capo al cessionario, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, subordinato alla prova da parte della parte pubblica non solo della frode a monte, ma anche della conoscibilità della frode con mezzi ordinari da parte del soggetto acquirente.
Ne abbiamo dato conto a più riprese, a partire dai primi mesi del 2018 e, più recentemente, sia a novembre che a dicembre scorsi, quando si è assistito a un deciso cambio di prospettiva nella giurisprudenza della Corte.
E in questo senso si colloca anche la Sentenza 5 aprile 2019, n. 9588 della Sezione Tributaria (Pres. Virgilio, Rel. Chiesi).
Per la Corte “invero, rappresenta principio ormai consolidato quello per cui, ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente mentre, ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 20.4.2018, n. 9851, Rv. 647837-01)”.
Nel caso specifico la CTR si era attestata sul precedente orientamento per il quale, a fronte della semplice contestazione dell’indebita detrazione I.V.A. relativamente ad operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente provare la legittimità e la correttezza della detrazione. Per la Sezione Tributaria tale lettura non è corretta e la sentenza di appello viene perciò cassata.