L’Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10910 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. d’Orazio) accoglie il ricorso di una società in accomandita semplice nel contesto di una vicenda originata da un accertamento fondato su una ricostruzione del reddito, in verità piuttosto fantasiosa, basata sull’assunto che le somme attribuite ai soci accomandatari si potessero assimilare a compensi a lavoratori dipendenti non regolari. Il relativo onere, a quel punto qualificato come costo (e non come distribuzione di utili) aveva generato, per il meccanismo dei ricarichi, una presunzione di maggiori ricavi in capo alla società.
L’accertamento era stato annullato in CTP. La Commissione tributaria regionale, invece, aveva ritenuto che si fosse instaurato tra la società ed i soci un rapporto di “dipendenza funzionale”, sulla base del quale i soci avevano prestato la loro attività lavorativa secondo le direttive della società. Quindi la ricostruzione dell’Agenzia era stata ritenuta corretta.
Per la Corte di Cassazione nel caso dei soci accomandatari trova applicazione il principio giurisprudenziale per cui, nelle società a base personale (nella specie società in accomandita semplice), la carica di amministratore unico è incompatibile con la posizione di lavoratore subordinato della stessa, in quanto non possono in un unico soggetto riunirsi la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà (Cass. 22 marzo 2013, n. 7321). Infatti, la costituzione e l’esecuzione del rapporto lavorativo subordinato devono essere collegabili ad una volontà della società distinta da quella dell’amministratore (Cass., 15 settembre 1979, n. 4779; Cass., 17 maggio 1975, n. 1940).
Inoltre nelle società di persone è possibile che il socio conferisca la propria opera ai sensi dell’art. 2263 comma 2 c.c.. Si è sul punto affermato da questa Corte che nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale; b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni (Cass., 16 novembre 2010, n. 23129).