La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 128 del 28 maggio 2019 tratta della questione posta dalla Commissione tributaria provinciale di Padova e dalla Commissione tributaria regionale del Lazio in relazione alla presunta illegittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali che apportano, per il periodo di imposta 2002, per gli istituti bancari, un incremento dell’aliquota IRAP – elevandola al 5,75 per cento (per le Regioni Marche e Lazio) ed al 5,25 per cento (per la Regione Siciliana) – rispetto a quella fissata, nella misura del 4,75 per cento, dal legislatore statale, con il comma 2 dell’art. 45 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali).
La Consulta ricorda che l’art. 24 del d.lgs. n. 446 del 1997, nell’individuare i poteri delle Regioni, dispone che quelle “a statuto ordinario possono disciplinare, con legge, nel rispetto dei princìpi in materia di imposte sul reddito e di quelli recati dal presente titolo”, le procedure applicative dell’imposta, ferme restando le disposizioni degli artt. 19, da 21 a 23, e da 32 a 35, mentre le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano “provvedono, con legge, alla attuazione delle disposizioni del presente titolo in conformità delle disposizioni della legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 3, commi 158 e 159”.
A sua volta, l’art. 3, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), al comma 158, prevede una cosiddetta clausola di salvaguardia: la Regione Siciliana «provvede con propria legge alla attuazione dei decreti di cui ai commi da 143 a 149 [tra cui quello relativo alla istituzione dell’IRAP], con le limitazioni richieste dalla speciale autonomia finanziaria preordinata dall’articolo 36 dello Statuto regionale e dalle relative norme di attuazione».
La disciplina valevole ratione temporis nei giudizi principali prevede, al comma 1 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 446/1997, un’aliquota generale del 4,25 per cento, facendo «salvo quanto previsto […] nei commi 1 e 2 dell’articolo 45».
Quest’ultimo articolo prevede, per le banche e gli altri enti e società finanziarie, nonché le imprese di assicurazione, «per i periodi d’imposta in corso al 1° gennaio 1998, al 1° gennaio 1999 e al 1° gennaio 2000» un’aliquota stabilita nella misura del 5,4 per cento mentre, per i due periodi d’imposta successivi, l’aliquota stabilita, è rispettivamente, nelle misure del 5 e del 4,75 per cento.
Quindi per l’anno di imposta 2002, in relazione al quale veniva chiesto il rimborso dell’IRAP, l’aliquota stabilita in via transitoria era pari al 4,75 per cento. Il comma 3 del citato art. 16, poi, a decorrere dal terzo anno successivo a quello di emanazione del medesimo decreto legislativo, attribuisce alle Regioni la facoltà di variare «l’aliquota fino ad un massimo di un punto percentuale» Al riguardo la giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che tale facoltà di variazione è riferibile alla sola aliquota ordinaria di cui al precedente comma 1 e non anche alle aliquote speciali di cui al successivo art. 45 (sentenza n. 357 del 2010).
La Corte Costituzionale richiamando la pronuncia n. 177 del 2014 la quale ha affermato che la disciplina del tributo IRAP, rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Precisando dunque che la potestà legislativa attribuita alle Regioni deve essere esercitata nei limiti fissati dal legislatore statale.
La Corte evidenzia che la facoltà di variazione attribuita alle Regioni è riferibile alla sola aliquota ordinaria. Non è invece consentita all’aliquota speciale fissata, per le banche e gli altri enti e società finanziarie, nonché le imprese di assicurazione, per l’anno di imposta 2002, nella misura del 4,75 per cento.
Solo dall’anno successivo al 2002, cessata la disciplina transitoria e applicandosi quella ordinaria di cui all’art. 16, comma 1, l’aliquota è fissata 4,25 per cento ma (al comma 3) è consentito alle Regioni di variare l’aliquota fissata dal legislatore statale fino ad un punto percentuale.
Quindi la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme fissate sia dalla Regione Marche, che dalla Regione Lazio che, infine, dalla Regione Lombardia che non si erano attenute a questi principi, variando l’aliquota speciale nel periodo (2002) nel quale detta variazione non era consentita.