Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 18520 del 10 luglio 2019 (Pres. Petitti, Rel. Perrino) si occupano di una questione in materia di registro sulla quale si era recentemente manifestato un contrasto di orientamenti all’interno della Sezione Tributaria.
Nel caso specifico una compagnia di assicurazioni stipulò una polizza fideiussoria in favore dell’amministrazione finanziaria, polizza fu escussa. La garante quindi chiese al debitore, mediante ricorso monitorio, la restituzione delle somme versate. Il decreto ingiuntivo ottenuto fu registrato e la compagnia versò la relativa imposta calcolata mediante applicazione dell’aliquota proporzionale al valore della condanna.
Successivamente la società richiese il rimborso dell’imposta, perché, sostenne, il decreto ingiuntivo doveva andare esente da imposta oppure scontarla in misura fissa, avendo ad oggetto somme riferibili a un rapporto, quello nascente dalla polizza fideiussoria, soggetto a Iva; sicché si sarebbe dovuto applicare il principio di alternatività tra Iva e imposta di registro. Ne seguì l’impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate. In giudizio, dopo un primo grado parzialmente favorevole, la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva respinto l’appello dell’Agenzia, in base alla considerazione che il decreto ingiuntivo in questione dispone il pagamento di una prestazione che ha diretta causa nel contratto di garanzia, rientrante nel campo di applicazione dell’Iva.
Quindi la questione rimessa alla cognizione dele sezioni unite concerneva la determinazione della misura, proporzionale al valore della condanna, o fissa, dell’imposta di registro da applicare al decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore principale inadempiente per il recupero delle somme pagate al creditore principale in virtù di polizza fideiussoria.
In effetti alla base della questione, per la Corte, v’è il dubbio sull’applicabilità nel caso in esame del principio di alternatività tra Iva e imposta di registro, delineato, per i profili rilevanti nella controversia, dalla combinazione:
- dell’art. 40 del d.P.R. n. 131/86, secondo cui «Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa» (comma 1);
- dell’art. 8, comma 1, lett. b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/86, che si riferisce, tra l’altro, ai «decreti ingiuntivi esecutivi…recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», per i quali prevede l’aliquota pari al 3% del valore della condanna;
- della nota II in calce all’art. 8, a norma della quale «gli atti di cui al comma 1, lettera b)…non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico».
Quanto ai precedenti, in talune pronunce si è ravvisata, talora evocando il collegamento dei negozi intercorrenti tra debitore e creditore da un lato e garante e debitore dall’altro, un’operazione complessiva inscindibile, la quale sarebbe assoggettata a trattamento fiscale unitario, indipendentemente, dunque, dal fatto che l’obbligazione sia adempiuta dal debitore in esecuzione del contratto principale o dal garante, qualificato come fideiussore. Di qui è scaturita la tesi che propugna la registrazione a tassa fissa del decreto ingiuntivo ottenuto dal garante, quando l’obbligazione principale è relativa a operazione soggetta a imposta sul valore aggiunto (Cass. 19 giugno 2014, n. 14000 nonché 15 luglio 2014, n. 16192; 16 luglio 2014, nn. 16306, 16307 e 16308; 24 luglio 2014, nn. 16975, 16976 e 16977; 11 dicembre 2015, n. 24997 e, da ultimo, 20 luglio 2018, n. 19365).
Di contro, altro orientamento ha escluso l’unitarietà e inscindibilità dell’operazione complessiva. Si è al riguardo fatto leva sul fatto che il titolo da cui deriva il debito principale è distinto dalla polizza fideiussoria, dalla quale trae origine la prestazione di garanzia, e che assume la configurazione di contratto autonomo di garanzia. Una volta scissa l’operazione nei tre rapporti rispettivamente intercorrenti tra debitore principale e creditore (rapporto di valuta), tra creditore e garante, e tra garante e debitore principale (rapporto di provvista), si è sottolineato che il garante, a seguito del pagamento, non fa valere nei confronti del debitore corrispettivi di prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto. Sicché il decreto ingiuntivo ottenuto dal primo nei confronti del secondo, al quale non sarebbe applicabile il principio di alternatività, sconterebbe l’imposta di registro con aliquota proporzionale al valore della condanna (Cass. 9 ottobre 2015, nn. 20260, 20261, 20262, 20263, 20264 e 20265; 14 ottobre 2015, nn. 20665, 20666, 20667, 20668 e 20669; 21 dicembre 2015, n. 25702; 16 maggio 2017, n. 12221; 19 gennaio 2018, nn. 1339 e 1341 e, da ultimo, 2 febbraio 2018, n. 2551).
Secondo le Sezioni Unite è quest’ultimo l’orientamento da valorizzare. Si esprime quindi, al termine di una lunga e articolata motivazione il seguente principio di diritto:
“In tema d’imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”.