L’articolo 46 del TUIR prevede che “Le somme versate alle società commerciali e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”.
Dunque esiste una presunzione di fruttuosità per i finanziatori di società di capitali. Che può essere vinta solo se dai bilanci risulta una diversa realtà contrattuale. Ovvero che i finanziamenti predetti siano,come molte volte accade nella pratica, a titolo gratuito.
Il riferimento di legge è ai bilanci. Così come lo era nell’articolo 4 del vecchio TUIR al quale si fa riferimento nella sentenza in commento. Ovvero la Sentenza 23 gennaio 2020, n. 1475 della Corte di Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Fracanzani) che esamina il caso di versamenti fatti da soci imprenditori.
Ebbene, in questo caso ci sono due bilanci, uno del soggetto che anticipa il denaro e uno del soggetto che lo riceve. E il bilancio di “tali soggetti” (per usare le parole dell’odierno articolo 46) dimostra che non sono stati contabilizzati oneri finanziari da una parte né proventi finanziari dall’altra. Ovvero, anche ammettendo che le scritture contabili non facciano prova a favore dell’imprenditore (2709 c.c.) in questo caso ci sono anche quelle della controparte che avallano le stesse conclusioni.
Conclusioni che essendo basate sulla contabilità alla fine si riflettono sul bilancio delle due società.
Sappiamo che da tanti anni l’Agenzia pretende però altre prove. Delibere di assemblea, conti appositamente intestati, clausole statutarie che prevedano l’esistenza di finanziamenti infruttiferi socio-società.
Ma forse in un caso come questo si dovrebbe arrivare a una lettura sostanziale visto che in fondo si opera da un lato e dall’altro in ambito di imposta proporzionale e dunque nessun danno alla fine si produce per l’Erario.
Ma la Cassazione non segue evidentemente il nostro ragionamento affermando che “Non di meno, sul punto questa Corte è già intervenuta affermando come In tema di imposte sui redditi, la presunzione legale di onerosità per i versamenti effettuati dal socio alla società, prevista dall’art. 43 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ai fini della determinazione del reddito di capitale delle persone fisiche, è applicabile anche ai versamenti effettuati da soci imprenditori, in forma individuale o collettiva, non facendo la norma cenno alcuno ad una pretesa natura di persona solo “fisica” dei soci destinatari della presunzione ed essendo tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concreto elemento di differenziazione, contraria ad una interpretazione normativa coerente con i precetti dettati dagli artt. 3 e 53 Cost., in quanto finirebbe per trattare diversamente situazioni economiche identiche. Ne consegue che, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva), come espressamente previsto dall’art. 45 del d.P.R. n. 917 cit. e confermato dall’art. 95, nella parte in cui considera il reddito complessivo delle società quale reddito d’impresa “da qualsiasi fonte provenga” (numerazione delle norme anteriore al d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) (Cfr. Cass., V, n. 12251/2010)”.
Quindi presunzione legale sempre valida e tassazione presuntiva anche se la realtà documentale dimostra il contrario. Per due soggetti addirittura, in linea (a quanto sembra) con le previsioni di Legge, che parlano solo di “bilancio”. Circa il prestito “ad altro titolo” se non sono contabilizzati interessi da nessuna delle due parti, ci limitiamo ad osservare che forse non sarebbe forse molto arduo concludere che il prestito sia gratuito.