L’Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10316 della sezione filtro della Corte di Cassazione (Pres. Mocci, Rel. Delli Priscoli) decide su un ricorso presentato dal contribuente in relazione alle spese del giudizio liquidate dalla Commissione Regionale in 600 euro e senza indicare i criteri seguiti per determinare tale ammontare, quando il valore della causa era di 14.189,24 euro, corrispondente all’ammontare di una ipoteca immobiliare eseguita da Equitalia.
La Corte ricorda come in tema di compenso del professionista, la giurisprudenza abbia dettato negli ultimi anni alcune regole.
In primo luogo le tariffe obbligatorie che, ai sensi degli artt. 2233 c.c. e 636, comma 1, ultima parte c.p.c., escludono la discrezionalità del giudice sulla determinazione del concreto ammontare dei compensi sono solo quelle fisse e non quelle con determinazione del massimo e del minimo, le quali hanno la funzione di stabilire i limiti dell’autonomia privata nella determinazione del compenso dettando anche i criteri di liquidazione che, in mancanza di accordo, il giudice deve rispettare (Cass. n. 29212 del 2019).
Dopo l’entrata in vigore del DM n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale. Quindi non serve che il giudice specifichi i criteri di liquidazione del compenso se fa riferimento al predetto decreto. Solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi sarà infatti necessario motivare. Occorre sempre ricordare poi, nell’applicare valori minimi, il limite dell’art. 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (Cass. 30286 del 2017).
E’ comunque erronea una liquidazione omnicomprensiva, unitaria e priva di qualsiasi specificazione relativa alle singole voci liquidate (Cass. n. 5250 del 2019; Cass. 9 marzo 2007, n. 5318; Cass. 30 luglio 2002, n. 11276 e Cass. 10febbraio 2000, n. 1073).
L’ovvia conclusione è che nel caso specifico la CTR non si era attenuta ai suddetti principi laddove ha liquidato una somma inferiore rispetto ai minimi indicati dal DM n. 55 del 2014 senza indicare i criteri di calcolo e i motivi per i quali si è discostata dai minimi.