Con sentenza n. 14846 del 13 luglio 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Perrino) si è espressa in merito alla imponibilità ai fini IVA dell’indennità prevista dalla combinazione degli artt. 379 e 411 c.c., come ristoro degli oneri e delle spese difficilmente documentabili che gravano sull’amministratore di sostegno; nel caso di specie fissata dal giudice tutelare nella misura di mille euro in favore di un avvocato che aveva ricoperto per due anni tale funzione.
La Suprema Corte ha preliminarmente ricordato come ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 633/72 le operazioni imponibili ai fini dell’iva sono le cessioni di beni e le prestazioni di servizi svolte nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni, mentre secondo quanto stabilito dall’art. 9 della direttiva iva (direttiva 2006/112/CE) si considera “soggetto passivo” chiunque eserciti, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività, purché essa sia economica. Precisazione resa necessaria nel caso di specie dove la Corte è stata chiamata, come detto, a verificare se la fisionomia dell’amministrazione di sostegno sia compatibile, o meno, con un’attività imponibile ai fini iva.
Come ribadito dalla Corte, il proprium dell’amministrazione di sostegno risiede nella funzione di tutela della persona, differentemente dall’interdizione storicamente volta alla tutela del patrimonio; l’ufficio dell’amministrazione di sostegno è quindi innervato da un obbligo morale, di elevato valore sociale. Risulta irrilevante inoltre la connotazione di ufficio dell’amministratore di sostegno: questo perché non tutti gli uffici sono gratuiti (si pensi, in via d’esempio, all’ufficio del curatore del fallimento). Vero è che dell’ufficio del tutore, e, quindi, di quello dell’amministratore di sostegno, il legislatore (con la combinazione degli artt. 379 e 411 c.c.) ha espressamente stabilito la gratuità e che la Corte costituzionale ha sottolineato come non sia prevista alcuna corresponsione d’indennità per le cure dedicate alla persona dell’incapace (Corte cost. 10 ottobre 2018, n. 218); tuttavia un’indennità può essere assegnata dal giudice al cospetto di oneri derivanti dall’amministrazione di un patrimonio, compatibilmente con l’entità dello stesso e in considerazione delle relative difficoltà.
Ed è proprio la caratteristica dell’eventualità della corresponsione a configurare l’attività di amministrazione, nel disegno del legislatore, come non indirizzata alla produzione di reddito, e, quindi non ascrivibile come economica (cfr. Corte Giust. 3 luglio 2019, causa C-316/18). In aggiunta l’unico parametro fissato per la liquidazione è l’equità: il che implica ampia discrezionalità del giudice, chiamato a compiere una valutazione globale con metodo sintetico delle difficoltà nell’amministrazione, della consistenza del patrimonio del beneficiario e degli esborsi sostenuti dall’amministratore. Inoltre l’amministratore di sostegno è di norma scelto preferibilmente entro la cerchia familiare del beneficiario dell’amministrazione (per cui il professionista che assuma quel ruolo va considerato come surrogato del parente). Queste peculiarità appena richiamate comportano che l’indennità, nella fisionomia che ne ha fornito il legislatore, non è chiamata a rispondere a funzione di corrispettivo, né di equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro, ancorché apprezzabile e non meramente simbolico con finalità di compensazione degli oneri e delle spese non facilmente documentabili (Cass. 4 luglio 1991, n. 7355, Corte cost., ord. 6 dicembre 1988, n. 1073); ciò come detto in considerazione sia dell’eventualità della sua assegnazione, sia dell’ampia discrezionalità in ordine alla sua quantificazione, sia perché l’attività dell’amministratore di sostegno non è configurata come destinata al ricavo di introiti aventi carattere di stabilità.
In tal senso la Corte ritenuto nel caso di specie irrilevanti tanto la questione, posta in discussione dalla Procura generale, della prospettata disparità di trattamento tra il professionista che svolga attività di amministratore di sostegno e quello che espleti altra attività di gestione patrimoniale, quanto il riferimento all’attività svolta dalle persone che coadiuvano chi esercita l’ufficio, che risponde a una funzione differente, proprio perché non sono quelle persone a esercitarlo (conseguentemente infatti il legislatore prevede che esse siano “stipendiate” da chi fruisce del loro lavoro). Quel che conta perciò, quanto all’imponibilità ai fini iva, non è di per sé la connotazione soggettiva di professionalità, ossia la qualità di chi amministra i beni del soggetto beneficiario dell’amministrazione, bensì l’oggettiva natura economica dell’attività espletata. Non a caso a diverse conclusioni si dovrà pervenire, sempre secondo la ricostruzione della Corte, allorquando, l’attività di gestione del patrimonio del beneficiario dell’amministrazione risulti in concreto volta a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, espletata da un professionista a titolo oneroso, ossia per la produzione di reddito.
Nei fatti il giudice tutelare liquidava in favore di un avvocato, amministratrice di sostegno per oltre un biennio, l’indennità di 1000,00 euro regolarmente fatturata. Successivamente la contribuente chiedeva il rimborso della relativa iva corrisposta, ricevendone diniego dall’Agenzia delle entrate. La Commissione tributaria provinciale di Trieste accoglieva il ricorso della contribuente, la Commissione regionale del Friuli Venezia-Giulia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia. A sostegno della decisione il giudice d’appello configurava l’erogazione dell’indennità, prevista dalla combinazione degli artt. 379 e 411 c.c., come ristoro degli oneri e delle spese difficilmente documentabili che gravano sull’amministratore di sostegno, anche se concernenti la cura della persona e non già la gestione del patrimonio di colui che fruisce dell’amministrazione; la stessa Commissione sottolineava inoltre la totale indifferenza circa la qualificazione dell’amministratore di sostegno (un avvocato e dunque un professionista). Contro questa sentenza proponeva ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione denunciando la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Il Giudice di Legittimità, respinto il ricorso dell’Agenzia, ha sancito il principio di diritto secondo cui “”In tema di iva, posto che l’attività svolta all’amministratore di sostegno è precipuamente volta alla cura della persona, l’amministrazione del patrimonio non configura, di norma, attività economica e, quindi, imponibile, a meno che non sia volta a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, sia espletata a titolo oneroso”.