“Il servizio di ristorazione alberghiera nel quale vengano somministrati cibi e bevande a favore di dipendenti, soci e familiari dell’imprenditore costituisce prestazione di servizi, non assoggettabile a IVA ove non superi la soglia prevista dall’art. 3, comma 3, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; analogamente, non hanno rilievo ai fini delle imposte dirette le somministrazioni di pasti riferibili ai dipendenti, nonché all’autoconsumo dell’imprenditore, dei familiari e/o dei soci, ove le stesse rientrino nella soglia indicata dall’art. 3, comma 3, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”.
Questo l’interessante principio di diritto espresso con ordinanza n. 5175 del 25 febbraio 2021 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. D’Aquino) in materia di trattamento fiscale afferente alla somministrazione di cibo e di bevande nei confronti di dipendenti, soci e familiari dell’imprenditore.
Nei fatti i contribuenti (una s.a.s. esercente attività alberghiera ed i relativi soci) impugnavano un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2005, per effetto del quale venivano accertati maggiori ricavi non dichiarati e rideterminato il reddito di impresa, con ripresa di imposte ai fini IVA, nonché di maggiori redditi da partecipazione in capo ai soci. La CTP di Trento accoglieva le doglianze dei contribuenti, mentre la CTR, riformando la decisione di prime cure, accoglieva il ricorso dell’Ufficio. Da qui il ricorso in Cassazione dei contribuenti affidato, tra gli altri, al motivo con il quale era dedotta la violazione dell’art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972 e la violazione dell’art. 57 TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto imponibili, anche ai fini IVA, quali ricavi di esercizio, i proventi da consumo dei pasti destinati al personale dipendente e ai soci.
La Corte, accogliendo il ricorso, ha evidenziato come, ai fini IVA, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che le somministrazioni di cibi e di bevande costituiscano prestazioni di servizi; con ciò superando un precedente orientamento secondo il quale la somministrazione di cibi e bevande a soci e dipendenti costituiva invece cessione di beni imponibile (Cass. Sez. V n. 21713/2010; Cass. Sez. I n. 3953/1998). Lettura che trae ispirazione dalla constatazione di fonte eurounitaria secondo la quale “l’operazione di ristorazione è caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi è soltanto una parte e nel cui ambito predominano ampiamente i servizi” (Corte di Giustizia UE, Bog e altri, causa C-497/09). Ragion per cui le prestazioni di ristorazione rimangono fuori campo IVA ove le somministrazioni avvengano in esecuzione di attività di ristorazione (prescindendosi, pertanto, dal cessionario della prestazione, vuoi che si tratti di dipendente, collaboratore ad altro titolo, vuoi che si tratti di socio dell’imprenditore), purché di valore inferiore alla soglia quantitativa di € 50,00 a termini dell’art. 3, comma 3, d.P.R. n. 633/1972.
Quanto alle imposte dirette i Giudici di Legittimità hanno ricordato come la somministrazione di cibi e bevande al personale dipendente (erogate sia a titolo di liberalità, sia per obbligo contrattuale) costituisce un costo deducibile dal reddito per l’impresa e non un ricavo non costituendone il loro valore elemento presuntivo di afferente percezione di reddito (Cass. Sez. V n. 21290/2016; Cass. Sez. V n. 19077/2005; Cass. Sez. V n. 3387/2020). Per quanto invece concerne la somministrazione in favore dei soci o dei familiari dell’imprenditore, la Corte nell’occasione ha affermato come applicando in via estensiva, dell’art. 3, comma 3, d.P.R. n. 633/1972, debbano risultare prestazioni irrilevanti ai fini delle imposte dirette negli stessi termini in cui risultano irrilevanti in campo IVA; non potendo con ciò trovare applicazione gli artt. 57 e 85, comma 2, del TUIR che per la qualificazione dei ricavi fanno esplicito riferimento alle cessioni di beni e non anche a quelle di servizi.