Con Ordinanza n. 5596 del 2 marzo 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Tinarelli Fuochi, Rel. Catalozzi) si è espressa in materia di esenzione IVA sulle cessioni intracomunitarie di beni stabilendo la contrarietà al diritto dell’Unione Europea di un’interpretazione dell’art. 138, par. 1, della direttiva IVA che subordini il diritto all’esenzione dall’imposta al rispetto di obblighi formali quando i requisiti sostanziali siano soddisfatti.
Nei fatti con avviso di accertamento l’Ufficio aveva contestato ad una S.p.A. l’emissione di fatture senza applicazione dell’IVA, benché relative ad operazioni con soggetto comunitario privo di identificativo IVA, e l’indebita detrazione dell’IVA di rivalsa assolta in relazione al versamento di denaro per il finanziamento di un’attività di formazione. La CTR Lombardia, ribaltando la decisione di prime cure, accoglieva il gravame dell’Amministrazione finanziaria ritenendo, quanto alla prima ripresa, che la contribuente non avesse offerto prova dell’effettivo assolvimento da parte del soggetto estero destinatario delle fatture dell’assolvimento degli obblighi fiscali sullo stesso gravanti e, quanto alla seconda ripresa, che si trattava di un’operazione non imponibile, poiché avente ad oggetto la realizzazione di prestazioni didattiche ed educative di cui all’art. 3, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, in quanto tale non imponibile. Da qui il ricorso in Cassazione della società contribuente.
I Giudici di Legittimità hanno preliminarmente ribadito l’ormai consolidato orientamento della Corte di Giustizia Eurounitaria secondo il quale l’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo al soddisfacimento di tre condizioni (sostanziali): quando il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente; quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro; quando, infine, in seguito a tale spedizione o trasporto il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr. Corte Giust., 9 ottobre 2014, Traum; Corte Giust., 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona; Corte Giust., 27 settembre 2007, Teleos).
D’altro canto, come ricordato nell’occasione dalla Corte, e sempre in virtù della giurisprudenza Unionale, l’ottenimento da parte dell’acquirente di un numero di identificazione IVA ovvero l’iscrizione dello stesso al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto rientrano nell’ambito dei requisiti formali i quali non pongono in discussione il diritto del venditore all’esenzione dall’IVA di una cessione intracomunitaria a patto che ricorrano le condizioni sostanziali e non sussista alcun serio indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode (cfr. Corte Giust., 9 febbraio 2017, EuroTyre; Corte Giust., 20 ottobre 2016, Pleickl).
I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso della contribuente, hanno nuovamente espresso il principio di diritto secondo cui “non può negarsi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che il soggetto passivo non abbia comunicato – o abbia comunicato in modo errato – un numero di identificazione attribuito ai fini di tale imposta dallo Stato membro di destinazione, laddove non sussista alcun indizio serio che deponga a favore della sussistenza di una frode, il bene sia stato trasferito a destinazione di un altro Stato membro e risultino soddisfatti anche gli altri requisiti per l’esenzione”.
Nel caso di specie infatti la CTR, facendo cattivo utilizzo dei principi unionali, aveva ritenuto che le operazioni rilevate fossero imponibili in ragione della mancata dimostrazione dell’effettivo assolvimento da parte del soggetto estero degli obblighi fiscali sullo stesso gravante, senza procedere ad alcun accertamento in ordine alla dedotta effettività della cessione, ossia del fatto che i beni ceduti fossero stati recapitati al destinatario, soggetto passivo nel suo Stato di appartenenza, in tale Stato.