Ci sono stati negli anni più recenti tanti esempi nei quali alcune regole a favore del contribuente, che faticosamente si erano affermate o per Legge o per elaborazione giurisprudenziale, sono state riviste dalla Cassazione a tutela del gettito erariale.
La nostra affermazione non ha niente di polemico, ma si limita a rilevare dei fatti. La questione delle firme di dirigenti illegittimi di qualche anno fa ne fu un esempio. Le regole sulla tassazione per trasparenza su soggetti “a responsabilità limitata” è ormai palesemente data per scontata, ma forse non lo dovrebbe essere. La restrizione alle “imposte armonizzate” del principio di contraddittorio endoprocedimentale preventivo (con l’ulteriore restrizione della “pretestuosità” dell’eccezione, che mai le sentenze eurounitarie avevano menzionato). E si potrebbe continuare.
Adesso tocca allo “Statuto” e alle regole sulla motivazione degli atti. L’articolo 3 della Legge 212 del 2000, contenente, va ricordato, principi immanenti dell’Ordinamento tributario, da considerare quindi di rango superiore a quello delle Leggi ordinarie (tant’è che per derogare a tali principi occorre una legge ordinaria che menzioni espressamente la deroga) così prevede: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Quindi a) una norma prevede a pena di nullità l’obbligo di allegazione (il termine “deve” è chiaro) b) quella norma esiste nel nostro ordinamento, non essendo mai stata dichiarata incostituzionale c) l’interpretazione costituzionalmente orientata è insita nella norma stessa essendo le regole dello Statuto emanate “in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali” (Articolo 1 L. 212/2000).
Ma i Giudici della Quinta Sezione, nella Ordinanza 24 maggio 2021, n. 14159 (Presidente Manzon, Rel. Castorina) evidentemente, pur essendo “soggetti solo alla Legge” (Cost. Art. 101, secondo comma), evidentemente ritengono di fare considerazioni differenti.
La Corte spiega che nel regime introdotto dall’art. 7 della legge n. 212/2000, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (così Cass. n. 6914 del 25/03/2011; conf. Cass. Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017; si veda anche Cass. n. 21066 del 11/09/2017);
Ed ancora, per la Corte, è stato, altresì, chiarito che «in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione» (così Cass. n. 26683 del 18/12/2009; conf. Cass. n. 22118 del 29/10/2010; Cass. n. 7654 del 16/05/2012).
Nel caso specifico la Sezione Tributaria rileva che l’ufficio aveva richiamato le risultanze della Guardia di Finanza riproducendo il contenuto “essenziale necessario e sufficiente” per sostenere il contenuto dell’atto impositivo e consentire il diritto di difesa della contribuente.
Nella nostra banca dati (magari da aggiornare), il riferimento al “contenuto essenziale” va detto che non compare e resta la norma come l’abbiamo riportata.
E non sapremmo davvero come definire quale sia il “contenuto essenziale”.
Ci ripromettiamo comunque un approfondimento, anche sul prossimo numero della rivista.