In materia tributaria, la riproposizione in appello delle medesime censure, formulate in primo grado, è sufficiente ad assolvere l’onere d’impugnazione specifica, imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che, nel processo tributario, l’appello ha carattere devolutivo pieno, siccome non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma finalizzato ad ottenere il riesame della causa nel merito nella sua interezza.
Il requisito della specificità dei motivi di appello non può essere inteso nel senso che l’appellante sia tenuto a formulare nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione, potendo l’appellante limitarsi a sottoporre al giudice di gravame le medesime argomentazioni svolte in primo grado e respinte in quella sede, manifestando un dissenso che investa la decisione di primo grado nella sua totalità (cfr. Cass. n. 30525 del 2018; Cass. n.32838 del 2018; Cass. n. 32954 del 2018; Cass. n. 1200 del 2016; Cass. n. 30341 del 2019).
Questo si legge nella Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14352 della Sezione filtro della Corte di Cassazione (Pres. Conti, Rel. Capozzi).
Casualmente in questo caso si avallano le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, è vero. Ma la pronuncia non sembra disallineata con altre, recenti, nelle quali la conservazione del processo ha operato, invece, a favore del contribuente (es. Sezione Tributaria n. 27784 del 4 dicembre 2020 e altre).
La Corte non reputa il principio sopra enunciato in contrasto con altra pur autorevole pronuncia di legittimità (Cass. SS.UU. n. 27199 del 2017) , in materia di specificità dei motivi di appello, di cui agli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 2012, secondo cui gli articoli anzidetti vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati dalla sentenza impugnata e delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
La citata sentenza, per i Giudici di Legittimità ha infatto sottolineato che il giudizio di appello mantiene pur sempre la sua natura di “revisio prioris instantiae”, in tal modo diversificandosi dal ricorso per cassazione, qualificabile invece come impugnazione a critica vincolata, e che, pertanto, l’appello non deve rivestire particolari formule sacramentali, né deve contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quello di primo grado, essendo sufficiente la mera riproposizione delle originarie argomentazioni svolte in primo grado, in quanto il dissenso può legittimamente investire la decisione nella sua interezza e può legittimamente sostanziarsi nelle medesime argomentazioni poste a fondamento del ricorso respinto in primo grado; che non va infine trascurato come l’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, dettato per l’appello in materia tributaria, si discosta notevolmente dall’omologa norma dettata per il processo civile dall’art. 342 cod. proc. civ., alla quale è riferita la sentenza a SS.UU. sopra riportata, potendosi qualificare l’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, riferito al processo tributario, come norma speciale rispetto all’art. 342 cod. proc. civ. e tale da diversificarsi in modo significativo rispetto a quest’ultima, atteso che, nella prima, è richiesto unicamente che il ricorso in appello contenga “i motivi specifici dell’impugnazione” (cfr. Cass. n.24641 del 2018) ; il che, come in precedenza esposto, consente di ritenere legittimo l’appello, che si limiti a sottoporre alla CTR le medesime argomentazioni formulate innanzi alla CTP e da quest’ultima respinte, essendo in sostanza sufficiente l’emersione di dissenso tale da investire la decisione di primo grado nella sua interezza.