Il problema dell’IVA di gruppo e della sua corretta applicazione torna all’attenzione della Sezione Tributaria della della Corte di Cassazione nella Ordinanza 16 giugno 2021, n. 17017 (Pres. Manzon, Rel. Fuochi Tinarelli), e ottiene una lettura formale e non del tutto convincente, a noi parte, rispetto alla giurisprudenza eurounitaria, assai più attenta alla sostanza del rapporto d’imposta.
La Corte ricorda come con la sentenza n. 12642 del 19 maggio 2017 (seguita poi da numerose altre; v. in particolare Cass. 17834 del 19/07/2017; Cass. n. 24474 del 05/10/2018; Cass. n. 25664 del 15/10/2018), si sia esaminata una identica questione. Il caso concreto riguardava una società che dopo aver optato per il regime dell’iva di gruppo aveva invece usato il proprio credito in compensazione orizzontale, non trasferendolo nell’ambito del gruppo stesso
Richiamando la sentenza del 2017 i Giudici di Legittimità ricordano che “il regime dell’iva di gruppo è mera procedura liquidatoria e di versamento del tributo, in virtù della quale la capogruppo compensa le eccedenze di credito e i debiti Iva delle società del gruppo (cd. compensazione verticale) e versa l’imposta a debito, oppure computa la differenza a credito nel periodo successivo, salvo chiederne il rimborso.
Ed è sempre la capogruppo che può procedere alla cd. compensazione orizzontale, ma del solo credito Iva di gruppo, che è quello emergente dai prospetti riepilogativi annuali della dichiarazione di gruppo, con tributi diversi.
Un dato è quindi indubbio, ossia che le società del gruppo perdono la disponibilità dei saldi emergenti dalle proprie risultanze periodiche, che sono trasferiti alla capogruppo entro il termine di liquidazione dell’imposta e da questa annotati nei propri registri.
Ne deriva che nella vicenda in esame, omologa a quella già esaminata dalla Corte, per l’anno d’imposta 2005, era applicabile questa procedura, nel cui ambito “si doveva tener conto delle eccedenze detraibili di ciascuna società del gruppo. Eccedenze, che queste società, in base al d.m. del 1979, dovevano trasferire alla controllante e che comunque, in base all’art. 8 del d.P.R. n. 542/99, non potevano essere oggetto di autonoma ed individuale compensazione” e nel novero delle eccedenze doveva dunque rientrare anche il credito Iva risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta antecedente a quello in cui il regime in questione era divenuto operativo atteso che «l’espressione “eccedenza detraibile” contenuta nell’art. 73 possiede, sul piano letterale, un indubbio ed univoco significato nel senso del puro e semplice riferimento all’eccedenza detraibile maturata dalla controllata -o anche dalla stessa controllante-, a prescindere dall’anno di maturazione dei crediti che la compongono, tale da non consentire all’interprete di introdurre eccezioni o limitazioni all’ambito applicativo della norma, chiaramente desumibile dal suo tenore testuale (art. 12 delle preleggi)».
Per la Corte “Qualora il legislatore avesse inteso attribuire alla formula indicata una portata più ristretta di quella fatta palese dal significato proprio delle parole utilizzate, avrebbe dovuto farlo espressamente, specificando che dall’ammontare dell’eccedenza detraibile debba essere scorporato l’importo corrispondente ai crediti riportati dagli anni precedenti all’attivazione del regime dell’iva di gruppo», operazione questa effettivamente compiuta con la legge finanziaria del 2008 (I. n. 244 del 2007) con la quale, appunto, ha espressamente stabilito, in uno con apposita disciplina transitoria a partire dalla liquidazione Iva di gruppo relativa all’anno 2008, che «agli effetti delle dichiarazioni e dei versamenti di cui al precedente periodo non si tiene conto delle eccedenze detraibili, risultanti dalle dichiarazioni annuali relative al periodo d’imposta precedente, dagli enti e società diversi da quelli per i quali anche in tale periodo d’imposta l’ente o società controllante si è avvalso della facoltà di cui al presente comma».
E escluso, dunque, che la novellata disposizione fosse applicabile in via retroattiva.
Nella vicenda in esame, la società aveva optato per il regime della liquidazione dell’Iva di gruppo nel 2005, sicché, in applicazione dei principi sopra esposti, non poteva compensare un credito Iva del 2004, derivandone la legittimità dell’atto di recupero del credito, oltre interessi e sanzioni.
Visto che la CTR aveva constatato il mancato danno per l’erario in quanto l’iva a credito era stata usata una volta sola la Corte rileva “l’irrilevanza dell’affermata assenza di danno all’erario, tenuto conto che la compensazione operata fuori dai casi consentiti determina, in sé, un pregiudizio sulla determinazione della base imponibile e dell’imposta e, comunque, è ininfluente ai fini della spettanza dell’imposta il cui versamento, per l’indebita compensazione, è stato omesso”.
A nostro parere se il credito esiste e se è stato compensato si configura non un omesso versamento, ma al più una violazione formale (e finanche meramente formale, non sanzionabile).
Ma la nostra opinione deve arrestarsi dinanzi alla pronuncia della Suprema Corte.
Dunque tutte le compensazioni fatte sono sbagliate, ma il credito rimane. Riteniamo però che il versamento “omesso” si possa ancora fare con quel credito in compensazione. Se nel frattempo l’opzione per l’iva di gruppo è cessata naturalmente…..