Bella e ragionata ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 23414 depositata in data 24 agosto 2021 (Pres. Chindemi, Rel. Balsamo) relativa al caso di un recupero in liquidazione dell’imposta di registro dovuta “in caso d’uso” il relazione a un procedimento giudiziario nel quale vengono enunciati due atti (una costituzione di pegno e una cessione di credito) conclusi in precedenza per scambio di corrispondenza. La soluzione, in linea con le eccezioni della contribuente, va riportata quasi integralmente contenendo, come spesso accade nelle pronunce del Presidente Chindemi, una motivazione articolata e ottimamente argomentata , pur nella sua relativa complessità
La Corte ricorda come l’articolo 1, comma 1, lett. a), della Tariffa, Parte Seconda, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone per tutta una serie di atti e contratti (i quali, di regola, dovrebbero essere soggetti a registrazione in «termine fisso») che, se formati «mediante corrispondenza», la registrazione avvenga solo «in caso d’uso» (con la medesima tassazione prevista per il caso in cui essi fossero soggetti a registrazione in «termine fisso»), evidentemente allo scopo di non intralciare, con inutili appesantimenti burocratici, la prassi commerciale sviluppatasi in tal senso.
Al riguardo la Cassazione ha già avuto modo di affermare che «ai fini dell’imposta di registro, il contratto stipulato per corrispondenza si distingue dal contratto stipulato per scrittura privata non autenticata per il fatto che nel secondo caso vi è un solo documento nel quale risultano formalizzate le volontà di tutti i contraenti e le loro sottoscrizioni, mentre, se si tratta di “corrispondenza”, in ogni documento è raccolta la volontà unilaterale di un solo contraente» (cfr. Cass. n. 30179 del 2017, in motivazione), ed il cosiddetto ” scambio di corrispondenza commerciale” è soggetto, quindi, al pagamento dell’imposta proporzionale di registro solo in caso d’uso e non in termine fisso (entro venti giorni), scontando l’imposta proporzionale nella misura del 3%, in base all’art. 9, Tariffa, Parte Prima, allegato A, del d.P.R. n. 131 del 1986, riferito, a tutti gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» (cfr. Cass. n. 19799/2018, in motivazione).
Parimenti occorre evidenziare che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, testualmente stabilisce quanto segue: «1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate, se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 69. 2. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione. 3. Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita».
Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma 1, lett. a) della Tariffa parte seconda allegata sancisce, tra l’altro, che gli atti indicati: a) nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 2, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 3, 6, 9 e 10, prima parte, formati mediante corrispondenza, ad eccezione di quelli ecc., sono soggetti a registrazione solo in caso d’uso.
Ai sensi, poi, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, dianzi indicato, si ha caso d’uso quando un atto si deposita, presso le cancellerie giudiziarie, nell’esplicazione di attività amministrative, o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, per essere acquisito agli atti, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi, ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento.
Occorre, dunque, stabilire se un atto soggetto a registrazione solo in caso d’uso, quali sono gli atti in esame, sia assoggettabile ad imposizione solo ed esclusivamente in tale ipotesi ovvero anche quando sia enunciato in altro atto registrato, ovvero ancora se tale enunciazione configuri o meno un caso d’uso.
Rileva al riguardo la Corte che, alla stregua della stessa testuale dizione del richiamato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, deve escludersi che il mero richiamo dell’atto non registrato in atto registrato possa configurare un’ipotesi d’uso (cfr. Cass. n. 5946/2007 in motivazione; n.16662/2020).
È d’uopo allora verificare se il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, richiamato si riferisca anche all’enunciazione di atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso.
Il tenore letterale della norma in esame impone una risposta positiva al quesito atteso che, se il legislatore ha specificato, nella parte finale del comma 1, che «se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 69», è evidente che ha inteso includere anche gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso e poiché l’enunciazione da tali ultimi atti non configura, ai sensi dello stesso D.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, come innanzi rilevato, un «uso», deve concludersi per l’assoggettamento di tali atti all’imposta a prescindere dall’«uso» di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 6, cit. dei medesimi e sulla base della sola enunciazione. In caso contrario, invero, come già precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 5956/2007 cit.), sarebbe da considerare inutiliter data la specificazione che assoggetta a pena pecuniaria solo gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, in quanto, non concretando l’enunciazione un «uso», sarebbero stati imponibili solo gli atti soggetti a registrazione a termine fisso enunciati nell’atto registrato e quindi sarebbe stato superfluo specificare che solo per tali atti è dovuta oltre all’imposta anche la pena pecuniaria.
Poste tali premesse, occorre altresì evidenziare come la norma richieda espressamente, quale presupposto di sua applicazione, la corrispondenza tra le parti intervenute nell’atto enunciato e in quello enunciante.
Con tale termine, la norma si riferisce non solo alle parti che hanno sottoscritto l’atto enunciante e quello enunciato, bensì anche a tutti i soggetti che, pur non essendo intervenuti in atto e non avendolo sottoscritto, risentono direttamente dei suoi effetti e si riferisce, quindi, alle parti sostanziali, non essendo esclusa la configurabilità dell’istituto dell’enunciazione dall’eventuale presenza nell’atto enunciante di soggetti ulteriori rispetto alle parti della disposizione enunciata.
Come posto in rilievo anche dalla dottrina, il concetto è da interpretarsi non nel senso omnicomprensivo di parti, ma piuttosto di essenzialità quale interrelazione tra quelle intervenute nei due atti, e ricorrerebbe enunciazione, ad esempio, quando venditore e acquirente si danno atto che l’immobile è detenuto dall’acquirente in qualità di inquilino, ma non quando il venditore renda noto all’acquirente che l’immobile vendutogli è condotto in locazione da terzi.
Sulla scorta di tali principi la stessa Corte (cfr. Cass. n. 1125/2000) ha già affermato che il richiamo effettuato da un decreto ingiuntivo ad un ricorso giudiziale nel quale si fa riferimento ad una cessione di crediti effettuata tra soggetti diversi dal debitore ingiunto evidenzia un’enunciazione indiretta di atti, ma esclude l’identità tra le parti dei distinti atti non presentati alla registrazione, escludendo conseguentemente la tassazione dell’atto di cessione di crediti precedentemente non sottoposto a registrazione al momento della presentazione del decreto ingiuntivo, per carenza delle condizioni di identità soggettiva. Sul punto proprio con riferimento all’ipotesi di diversità tra i soggetti dell’atto enunciato costituito da cessione del credito e quelli del decreto ingiuntivo, questa Corte nella recente sentenza n. 16662 del 2020 ha affermato, sulla scorta dei principi già affermati da Cass. n. 1125 del 2000 che “il richiamo effettuato da un decreto ingiuntivo ad un ricorso giudiziale nel quale si fa riferimento ad una cessione di crediti effettuata tra soggetti diversi dal debitore ingiunto evidenzia un’enunciazione indiretta di atti, ma esclude l’identità tra le parti dei distinti atti non presentati alla registrazione, escludendo conseguentemente la tassazione dell’atto di cessione di crediti precedentemente non sottoposto a registrazione al momento della presentazione del decreto ingiuntivo, per carenza delle condizioni di identità soggettiva. Con la conseguenza che anche nel caso in esame, relativo a cessione di credito, effettuata mediante corrispondenza commerciale tra cedente e cessionario, ed enunciato nell’atto soggetto a registrazione la mancanza di identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato esclude la relativa tassazione’.
In altri termini, i contratti di cessione di credito e del finanziamento, mediante corrispondenza commerciale dimostra l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, per la mancanza di identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato (v. Cass. n. 8669 del 29/03/2021).