La Sentenza 19 aprile 2017, n. 9836 della sezione tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bielli, Rel. Tedesco) accoglie il ricorso di un contribuente che, nelle proprie doglianze rispetto ad una sentenza della CTR della Campania, aveva dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cpc.
La Corte al riguardo richiama il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29 luglio 2013, n. 18184: perché l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 sia valido non è certamente sufficiente che l’atto rechi la motivazione sul perché l’Amministrazione finanziaria abbia emesso il provvedimento prima del decorso del termine, ma occorre che l’adozione del provvedimento ante tempus sia realmente giustificata da “particolare” ragione di urgenza. Se questa ragione ricorre la tempestiva adozione del provvedimento è legittima anche se essa non sia enunciata nel provvedimento.
Nella specie la ragione di urgenza indicata nel provvedimento era identificata nella imminente scadenza dei termini per l’accertamento.
Secondo l’orientamento attuale della giurisprudenza di legittimità, sancito dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, la emissione dell’avviso prima del decorso del termine di sessanta giorni dal termine degli accertamenti ne comporta la invalidità, a meno che la deroga non sia giustificata da “particolare” ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.
“Particolare” vuol dire che la ragione deve essere riferita specificamente al contribuente e al rapporto tributario in questione. In ordine ai requisiti richiesti per la configurabilità della deroga, la elaborazione giurisprudenziale successiva ha esattamente chiarito che il requisito dell’urgenza, al fine di preservare l’avviso intempestivo dalla sanzione di nullità, deve rimanere agganciato a specifici elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità nell’accertamento delle pretese fiscali (Cass. n. 22786/2015). La giurisprudenza della Corte è ferma nel ritenere <<che le specifiche ragioni di urgenza non possano identificarsi con l’imminente spirare del termine di decadenza per l’accertamento (tra varie, vedi Cass. 12 agosto 2015, n. 16707; 7 agosto 2015, n. 16602; 15 luglio 2015, n. 14803; 28 marzo 2014, n. 7315; 5 febbraio 2014, n. 2592; 3 febbraio 2014, n. 2279; 3 febbraio 2014, n. 2281; 29 gennaio 2014, n. 1869), giacché è dovere dell’amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale>>. «Altrimenti, si è rimarcato, si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto col principio secondo cui il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso; fermo restando, hanno rimarcato le sezioni unite, che spetta all’ufficio l’onere di provare in giudizio la sussistenza della situazione urgente. Qualora l’amministrazione deduca, quale circostanza di «particolare e motivata urgenza», il fatto di non aver potuto rispettare il termine dilatorio di sessanta giorni allegando giustappunto l’imminente scadenza del termini previsti per l’azione di accertamento, l’oggetto della prova va individuato nella oggettiva impossibilità di adempimento dell’obbligo, traducendosi nella deduzione che l’imminente scadenza del termine di decadenza, che non ha consentito di adempiere l’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte all’ufficio non imputabili a titolo di incuria, negligenza o inefficienza» (Cass. 16 marzo 2016, n. 5149).