Una curiosa ed articolata vicenda è alla base della sentenza 30 marzo 2016 n. 6132 della Corte di Cassazione.
Semplificando al massimo, la questione riguarda la mancata indicazione tra i crediti dei finanziamenti infruttiferi del de cuius effettuati in favore di una società partecipata. I bilanci societari erano stati allegati alla denuncia di successione, motivo per il quale, a detta dei contribuenti ricorrenti (gli eredi) l’Amministrazione sarebbe stata messa in condizione di verificare la sussistenza di queste attività sin dal primo adempimento a carico degli eredi medesimi.
Tali finanziamenti sono stati nel seguito rimborsati. Appreso ciò a seguito di un controllo l’Agenzia delle Entrate ha fatto valere le proprie pretese in ordine all’imposta di successione per non avere gli eredi prodotto una dichiarazione integrativa.
Ed allora il problema si sintetizza come segue: il termine di decadenza dell’azione di accertamento va fatto decorrere dalla presentazione della successione (bilanci inclusi) oppure dal rimborso del credito, quanto ad adempimenti integrativi?
Secondo la Corte dichiarare i crediti vuol dire inserirli nello stampato che va utilizzato per la denuncia e non poterli desumere da un allegato, il bilancio, che non può assumere funzione corrispondente alla dichiarazione di successione. Infatti “Se è vero, in proposito, che l’amministrazione finanziaria ebbe modo di verificare tali bilanci, altrettanto indubbio è che ciò avvenne in vista dell’applicazione del criterio valutativo del patrimonio netto al momento dell’apertura della successione ex art.16 lett. b) d.lgs. 346/1990 (Cass. 6498/00); in base al quale, tuttavia, le operazioni di finanziamento in oggetto (quand’anche contabilmente rilevabili e rilevate) risultavano sostanzialmente ininfluenti quanto a base imponibile, trovando il debito di restituzione nei confronti del socio contropartita diretta nella liquidità da questi immessa nelle casse sociali. Sicché il rilievo, al fine della valutazione della partecipazione, del debito delle società verso il socio non attribuiva, per ciò solo, effetto dichiarativo “per equipollenza” al corrispondente credito del de cujus”.
Quindi poiché i crediti non erano stati dichiarati, il loro rimborso rilevava in effetti quale evento sopravvenuto suscettibile di determinare l’applicazione dell’imposta in misura superiore (articolo 28, sesto comma, d.lgs. 346/1990); con conseguente obbligo per gli eredi di presentazione di dichiarazione integrativa nel termine di cui all’articolo 31 secondo comma lett. e) del d.lgs. citato.
Inutile dire che il termine di accertamento è un normale vincolo che nasce in ossequio al generale principio della certezza del diritto. La decadenza è legata infatti ad un termine previsto dalla legge entro il quale deve essere esercitato un potere; nel caso del diritto tributario il potere di emissione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’avviso di accertamento. E’ un principio che rischia anche di andare a tutelare ipotesi non particolarmente meritorie, ma che non può essere cancellato spostando il termine di decadenza in ragione di eventi sopravvenuti. E senza neppure che una legge preveda il caso, in un contesto in cui operano l’Art. 23 Cost. e l’Art. 3 dello Statuto del Contribuente, specifico sui termini di accertamento. La sentenza perciò non appare del tutto convincente.