La controversia sugli atti amministrativi generali esula dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall’articolo 19 del precitato DLgs. 546/92 o a questi assimilabili, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l’articolo 7 dello stesso DLgs. consente soltanto la disapplicazione, ferma restando l’impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo.
Lo stabiliscono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la Sentenza 18 aprile 2016 n. 7665.
Secondo i Giudici nessuna disposizione del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 attribuisce alle commissioni tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa. Non vi è spazio – sia nel vecchio contenzioso fiscale di cui al DPR n. 636 del 1972 sia nel processo tributario di cui al DLgs. n. 546 del 1992 – per l’impugnazione di atti che possono coinvolgere un numero indeterminato di soggetti con pronuncia avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti (Cass., sez. un., n. 3030 del 2002), atteso che l’azione del contribuente dinanzi alla commissioni tributarie viene ad essere esercitata – ai sensi dell’articolo 19 del menzionato DLgs. – mediante l’impugnazione di specifici atti impositivi o di riscossione o di determinati atti di rifiuto (Cass., sez. un., 13793 del 2004). Sicché, senza la “mediazione” rappresentata dall’impugnativa dell’atto impositivo, di riscossione o di diniego, il giudice tributario non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali può conoscere solo incidenter tantum e unicamente ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell’atto amministrativo presupposto dell’atto impugnato (Cass., sez. un., n. 6224 del 2006).
Tali criteri restano validi quando l’atto impositivo sia impugnato successivamente all’adozione dell’atto amministrativo generale. E neppure quando il contribuente intenda censurare entrambi gli atti (nel caso specifico da un lato gli atti di divisione del territorio in microzone catastali ex artt. 1 e 2 del DPR 138/98, dall’altro l’accertamento catastale in senso stretto).