Segnaliamo una bella, molto argomentata e coraggiosa sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, XXVIII sezione, precisamente la n. 23640 depositata il 7 novembre 2017 (Pres. Clemente, Rel. Di Ruberto).
Il tema è ancora il contraddittorio endoprocedimentale preventivo che, dopo la svolta delle Sezioni Unite del 9 dicembre 2015 (n. 24823), ha visto una riduzione dei casi nei quali può essere invocato.
Non mancano tuttavia sentenze di merito che si pongono in continuità con il precedente consolidato orientamento (cfr. SSUU 19667-19668/2014 e Corte Cost. 132/2015), sicuramente caratterizzato da una coerenza e da una sistematicità ben maggiori rispetto al nuovo corso.
Segnaliamo in particolare il passaggio per cui “il diritto al contraddittorio preventivo non può che essere riconosciuto ogniqualvolta l’Amministrazione Finanziaria sottoponga il contribuente ad operazioni di controllo, come è appunto accaduto nel caso di specie, senza notificargli la chiusura di tali operazioni, poiché diversamente essa, in aperta e radicale violazione dei principi d’imparzialità e di buona amministrazione, si potrebbe sottrarre all’obbligo di contradditorio preventivo, semplicemente omettendo tale notifica. Non si condivide pure che “il parametro applicativo del settimo comma dell’art. 12 L. 212/2000 è limitato agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente” e non invece ai casi, come quello di specie, in cui l’atto impositivo sia stato emesso dall’Ufficio direttamente senza il compimento di alcuna attività di verifica in loco. Infatti, il comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212, stabilendo in via generale che il processo verbale di constatazione sia rilasciato nei confronti del contribuente alla “chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo”, evidentemente non si riferisce ai soli casi in cui tali operazioni siano state compiute mediante accessi, ispezioni o verifiche, bensì a qualunque fattispecie di controllo sulla posizione fiscale del contribuente posto in essere dai competenti uffici. Non si tralascia che sono state le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 18 settembre 2014, n. 19667 ad affermare l’esistenza di un diritto del contribuente ad essere sentito prima dell’emissione di un atto impositivo a suo carico, in via generale ed indipendentemente dal fatto che nei suoi confronti siano o meno stati effettuati “accessi, ispezioni e verifiche”.
Ottimo anche il riferimento al recupero IVA in capo al cessionario per asserita conoscibilità del disegno fraudolento a monte. Conoscibilità che deve essere provata da chi ha interesse a far pagare due volte l’IVA al cessionario, evidentemente: “Nel caso di specie, quindi, l’Ufficio non solo non ha provato l’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, ma non ha altresì dimostrato, con elementi oggettivi, né che la Ricorrente fosse a conoscenza della frode realizzata dai propri fornitori o che, pur non essendone consapevole, non abbia agito – nei rapporti con quei partners commerciali – con la “diligenza” di un “normale” operatore economico operante nel medesimo settore merceologico”.
Negato invece il rinvio alla Consulta per l’asserita incostituzionalità dell’articolo 12 comma 7 dello “Statuto”: noi aspettiamo invece che la Corte Costituzionale sia nuovamente interessata della questione, non affrontata con le tre ordinanze del luglio scorso per motivi procedurali, convinti come siamo che un possibile approdo della vicenda risieda proprio nell’irragionevolezza del trattamento differenziato di tributi diversi e fattispecie del tutto comparabili.