La Sentenza n. 41493 della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione depositata ieri, 4 ottobre 2016, (Pres. Grillo, Rel. Andreazza) afferma, coerentemente con alcuni precedenti in tal senso, che è illegittimo il sequestro dei beni del parente dell’imputato di un reato (nella fattispecie quello di Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 74/2000) se dal giudizio non emerga la consapevolezza del parente in ordine alla partecipazione alla frode.
Nel caso a giudizio, secondo l’accusa, la sorella di uno degli imputati e cognata dell’altra, attraverso alcuni atti, avrebbe contribuito a sminuire il patrimonio dei predetti congiunti consentendo con ciò di non pagare le imposte dovute. La ricorrente riferisce come il Tribunale del riesame non abbia a tal proposito minimamente valutato (se non con poche righe) una corposa memoria difensiva della stessa concludendo, con una mera motivazione apparente, che la signora non poteva dirsi estranea al meccanismo in oggetto.
Secondo la Corte il provvedimento di sequestro preventivo, anche se adottato ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p., deve essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del presupposto del fumus commissi delicti, consistente nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal P.M., dell’ipotesi criminosa cui è correlata la confisca, senza che rilevi la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, richiesta invece per le misure cautelari personali (Sez. 6, n. 36710 del 26/06/2008, Cappa, Rv. 241511).
In tale contesto il giudice non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato.
Secondo la III Sezione l’ordinanza impugnata non ha spiegato (anche a fronte dei rilievi difensivi effettuati con la memoria in ordine alle vicende cronologiche del coinvolgimento della ricorrente nella gestione delle società pretesamente interessate dal meccanismo fraudolento) da quali elementi sia stato tratto il convincimento che l’indagata abbia, consapevolmente, consentito ai congiunti di sottrarsi al pagamento del debito tributario.