Bella e argomentatissima (per evidente merito del Presidente Chindemi) ordinanza interlocutoria della V Sezione della Corte di Cassazione del 10 ottobre 2016 n. 20675. L’ordinanza esamina a fondo la questione del “ne bis in idem” con riferimento a sanzioni penali e amministrative, disponendo alla fine il rinvio degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Ciò formulando la seguente questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione:
- a) se la previsione dell’ art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto (condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile;
- b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base ali’ art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU,della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale.
La questione, ben nota alle cronache (abbiamo quindi lasciato i riferimenti, vista la riconoscibilità della vicenda) ha per protagonista l’imprenditore Ricucci, ed riguarda operazioni asseritamente volte ad influenzare l’andamento dei titoli RCS mediaGroup s.p.a..
Per la vicenda la Corte di Appello di Roma aveva comminato, riducendola rispetto all’iniziale, la sanzione a € 5.000.000 e avverso tale provvedimento tutte le parti proponevano ricorso per Cassazione.
Nelle more Ricucci è stato sottoposto a procedimento penale per i medesimi fatti per i quali gli era stata comminata la sanzione amministrativa, conclusosi con sentenza di patteggiamento, divenuta definitiva, con cui veniva prevista la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, ridotta ad anni 3 per la scelta del rito e quindi, estinta per indulto ex I. 241/06.
Dopo il passaggio in Corte Costituzionale della vicenda conclusosi con sentenza n. 102 del 2016 in data 12 maggio 2016 che aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 ter punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998, la questione ritorna sul tavolo della Suprema Corte.
La quale, rilevato che ai fini del tema del “ne bis in idem” una sentenza di patteggiamento equivale ad una sentenza di condanna, torna sul problema.
Che rileva come esaminando le norme si evince la sussistenza del sistema del c.d. doppio binario tra il reato di manipolazione del mercato (art. 185 TUF) e la analoga fattispecie amministrativa (art. 187-ter TUF) essendo prevista, nei rispettivi giudizi, una duplice sanzione penale ed amministrativa, in antitesi col principio espresso dalla sentenza CEDU “Grande Stevens”, cit. sub.3, che ha, invece, affermato l’opposto ed antitetico principio del “ne bis in idem”.
D’altro canto le sanzioni irrogate dalla Consob per la fattispecie di manipolazione del mercato di cui all’art. 187-ter TUF, benché formalmente qualificate come amministrative dall’ordinamento italiano, debbono essere ricondotte alla “materia penale” agli effetti dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, e ciò in ragione sia della “natura dell’illecito” (ossia della rilevanza dei beni protetti e della funzione anche detenente della fattispecie in questione) sia della natura e del grado di severità delle sanzioni (pecuniarie ed interdittive) previste dalla legge e concretamente comminate ai ricorrenti.
Quindi non è possibile decidere la questione senza chiedere una interpretazione della CEDU coerente coi principi comunitari.