Ogni tanto capita di vedere vicende processuali che finiscono davanti alla Suprema Corte riguardanti accertamenti basati su presunzioni astrattissime e su ragionamenti inconsistenti. Eppure l’Agenzia percorre tre gradi di giudizio (nel caso specifico tutti conclusi con sentenze sfavorevoli) per affermare questi schemi presuntivi. E c’è davvero da chiedersi se non sia arrivato il tempo di mettere un serio limite a questa pratica persecutoria con leggi appropriate.
E’ il caso della sentenza n. 23795 del 23 novembre 2016 della quinta sezione della Corte, Presidente Greco, Relatore La Torre.
Il teorema su cui si basava l’accertamento rivolto ad una società esercente commercio di calzature, tramite negozi propri, era costituito dalla ipotetica produzione di ricavi non contabilizzati da parte della società, desunti presuntivamente dal costante e progressivo sviluppo della sua attività commerciale senza corrispondenza con la produzione effettiva di reddito, con conseguenti dubbi di evasione fiscale.
Ma la società contribuente, impugnando l’accertamento, aveva provato che questa apparente antieconomicità era basata sulla propria precisa strategia aziendale di espansione dei punti vendita in diverse località, richiedente investimenti in vista di futuri guadagni.
A fronte di tale ricostruzione del comportamento economico della società, l’Agenzia, a dire della Corte, si è limitata ad opporre illazioni e congetture,
La sentenza di appello si palesa quindi come adeguatamente motivata, senza che neppure in Cassazione l’Agenzia abbia svolto una critica adeguata del vizio logico della motivazione sull’apprezzamento di fatto compiuto dalla CTR.
Replicare alla motivazione esprimendo ipotesi che, fondate su una diversa spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, non appaiano tuttavia come l’unica possibile derivazione non basta. La Corte ricorda che in tema di ricorsi per Cassazione costituisce principio consolidato quello secondo cui, ove nel ricorso venga prospettato un vizio di motivazione della sentenza, il ricorrente, il quale denunzi l’insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa – pur se essa sia supportata dalla probabilità di corrispondenza alla realtà fattuale – essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (fra le tante, Cass. n. 25927 del 2015; Cass. n. 261 del 2009).