Presupposti per l’inerenza di un costo e ripartizione dell’onere probatorio

Presupposti per l’inerenza di un costo e ripartizione dell’onere probatorio

Segnaliamo la Sentenza n. 1544 del 20 gennaio 2017 della Sezione Tributaria in quanto in essa la Corte, accogliendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate, traccia alcuni passaggi che ci sembrano significativi in tema di inerenza di un costo in ambito di imposte dirette e con riferimento anche alla deducibilità della relativa imposta sul valore aggiunto.

Secondo la quinta Sezione “Ai fini delle imposte sui redditi d’impresa, l’inerenza quale requisito di deducibilità del costo è una relazione concettuale tra costo e impresa, sicché il costo assume rilevanza nella determinazione della base imponibile non tanto per la connessione ad una precisa componente di reddito, quanto per la correlazione con un’attività d’impresa potenzialmente idonea a produrre utili” (Cass. 21 gennaio 2009, n. 1465, Rv. 606467; Cass. 27 febbraio 2015, n. 4041, Rv. 634740).

Proseguendo poi “Ai fini dell’IVA, l’inerenza quale requisito di detraibilità del costo richiede elementi obiettivi che evidenzino una concreta strumentalità del bene o servizio all’attività d’impresa” (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25986, Rv. 633567; Cass. 24 marzo 2016, n. 5860, Rv. 639429).

Precisati questi concetti si affronta poi la questione dell’onere probatorio. E su questo aspetto si afferma che l’onere di provare l’inerenza incombe al contribuente (per le imposte sul reddito, Cass. 9 dicembre 2013, n. 27458, Rv. 629460; Cass. 13 maggio 2016, n. 9818, Rv. 639871; per l’IVA, Cass. 31 gennaio 2013, n. 2362, Rv. 625113; Cass. 24 marzo 2016, n. 5860, Rv. 639429).

Al contribuente, secondo la Corte, spetta anche provare la coerenza economica della spesa, ove contestata dall’amministrazione (Cass. 27 marzo 2013, n. 7701, Rv. 625810; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184, Rv. 632824).

Con riferimento alla sentenza della CTR in contestazione viene censurato dai Giudici di legittimità l’uso di un concetto di inerenza giuridicamente improprio, perché focalizzato sulla liceità civilistica dell’erogazione aziendale, piuttosto che sulla funzionalità economica della spesa agli scopi d’impresa.

Da ciò, secondo la Corte, viene distorto il riparto dell’onere probatorio, siccome quella che il giudice d’appello definisce «legittimità» dell’erogazione parrebbe sollevare il contribuente dall’onere di provare che l’erogazione stessa sia concretamente strumentale all’attività d’impresa. Ma tale aspetto rimane da indagare ai fini di una corretta deducibilità del costo e dell’IVA sull’acquisto corrispondente.