Avevamo dato qualche mese fa la notizia che con l’Ordinanza 10 novembre 2014 (poi pubblicata nella Gazzetta ufficiale serie “Corte Costituzionale” 9 settembre 2015 n. 36) la Commissione Tributaria Provinciale di Cremona, con una approfondita disamina normativa e giurisprudenziale, aveva rinviato alla Corte Costituzionale la decisione riguardo la eventuale illegittimità dell’art. 4 del D.Lgs. 546/92, nella parte in cui prevede che i giudici tributari di primo grado “siano competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari che hanno sede nella loro circoscrizione, anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali competenti”.
E’ arrivata ieri la Sentenza 3 marzo 2016 n. 44 con cui la Corte Costituzionale ha effettivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 nel testo vigente anteriormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.
Ma non solo.
Essendo cambiata la normativa dopo il rinvio, la Corte ha pure dichiarato, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del DLgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del DLgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.
Il problema, come si ricorderà, si è posto poiché l’ente locale può per legge conferire la potestà di riscossione nonchè di accertamento ad un c.d. “concessionario locale”. Tale concessionario potrebbe anche avere una sede molto lontana dal domicilio del contribuente o dall’ubicazione bene oggetto di tassazione (es. ICI). D’altro canto l’art. 4 del DLgs. 546/92, in base al quale la competenza del giudice si determina non in relazione alla sede del concessionario che ha emanato l’atto, imporrebbe al contribuente oneri e disagi in una eventuale difesa
La Consulta ha infatti ravvisato la violazione dell’articolo 24 della Costituzione. Viene infatti sottolineato come il legislatore possa regolare in molteplici forme la tutela giurisdizionale del diritto. Ma sempre con criteri di ragionevolezza. Nel caso specifico invece la Corte Costituzionale ritiene che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza «quella condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione” suscettibile “di integrare la violazione del citato parametro costituzionale” (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)» (ordinanza n. 417 del 2007).
Difatti, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo «spostamento» richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione» (sentenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006) o comunque a «rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale» (sentenza n. 237 del 2007; ordinanze n. 382 e n. 213 del 2005).