L’Agenzia delle Entrate percorre tre gradi di giudizio per sostenere la legittimità di un provvedimento di irrogazione sanzioni a carico di una professionista che ha inviato 87 dichiarazioni fiscali in lieve ritardo e che viene per questo “punita” con 44 mila euro di multa.
E fortunatamente perde. Ma, come spesso accade, senza neppure pagare le spese.
La sentenza di cui parliamo è la numero 7661 della quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Di Iasi, Rel. Zoso). La sanzione, precisamente di euro 44.892,00 era stata irrogata ai sensi dell’articolo 7 bis del decreto legislativo 241/1997 in quanto, nella qualità di intermediario fiscale, la professionista non aveva adempiuto all’obbligo dell’invio tempestivo per via telematica delle dichiarazioni relativamente agli anni 2002 e 2003.
La commissione tributaria provinciale di Bologna accoglieva il ricorso della professionista determinando l’importo della sanzione in euro 1.032,00, pari al doppio della sanzione minima prevista dall’articolo 7 bis del decreto legislativo 241/1997 e la sentenza era confermata dalla commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna. Osservavano i giudici di appello che doveva trovare applicazione nella fattispecie non la legge 689/1981 ( che prevede il cumulo giuridico solo in caso di concorso formale -unicità dell’azione ) ma l’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 472/1997 ( che prevede il trattamento del cumulo giuridico sia per il concorso formale che per il concorso materiale ) in quanto si versava in ipotesi di violazioni formali consistite nel ritardo nella trasmissione delle dichiarazioni da parte dell’intermediario che non aveva inciso in alcun modo sulla posizione fiscale dei contribuenti.
Nel ricorso per cassazione, l’Agenzia delle entrate sostiene l’incompatibilit della disposizione dell’art. 12 D.Lgs. n. 472 del 1997 con quella dell’art. 7 bis del D.Lgs. n. 241 del 1997, tale da rendere inapplicabile il D.Lgs. n. 472, art. 12, comma 1. Ciò sul presupposto che l’infrazione all’art. 7 bis non sarebbe mai qualificabile come “formale”, dato che solo alle infrazioni commesse dal contribuente si attaglierebbero le qualifiche di “formali” e “non formali”, mentre simile classificazione sarebbe incompatibile con le infrazioni commesse dall’intermediario.
Invece per la Corte tale assunto è infondato perché, come già affermato in precedenza ( Cass. n. 13238 del 10/06/2015; Cass. n. 11742 del 7/05/2015 ) si possono distinguere, anche nell’ambito delle infrazioni commesse dall’intermediario, le violazioni formali da quelle non formali in quanto sono ipotizzabili fattispecie in cui la condotta dell’intermediario agevola l’evasione o comunque determina un minor incasso erariale (infrazioni non formali) ed ipotesi in cui tale condotta arreca solo un qualche ritardo o difficoltà alle operazioni di accertamento o riscossione (infrazioni formali).
E su tale presupposto anche il cumulo previsto dall’articolo 12 del D.Lgs 472/97 è certamente applicabile.
Come ci capita spesso, chiosiamo su una disposizione dello Statuto del Contribuente e precisamente l’articolo 10, comma terzo. Che ancor oggi prevede che le sanzioni non siano irrogate quando la violazione si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Quindi, riconosciuto il carattere formale della violazione, un testo che contiene “principi immanenti dell’ordinamento giuridico tributario” (come la Corte ci ha più volte detto) prevede la non irrogazione di sanzioni. Ma esse vengono comunque comminate.
E così si conferma la funzione non normativa, ma di regola “morale” dei principi dello Statuto dei diritti del contribuente.
Per inciso: il capoverso 8 della sentenza segue il capoverso 6. Tutti possono incappare in errori formali, evidentemente.