La sentenza 7 marzo 2016 n. 9229 della Corte di Cassazione costituisce senza dubbio un Importantissimo precedente quanto all’analisi dettagliata degli istituti di segregazione del patrimonio (e della loro “tenuta”) in rapporto alla confisca per equivalente del profitto di reati tributari.
Con riferimento a questa specifica problematica, secondo la Corte, grava sull’organo della pubblica accusa l’onere di provare l’esistenza di una situazione che dimostri in concreto lo scarto fra la realtà apparente – per la quale il bene, risultando di terzi, dovrebbe andare esente dalla possibilità di essere confiscato – e la pretesa realtà effettuale – in forza della quale, invece, a dispetto dell’apparenza, la permanenza del bene nella materiale disponibilità dell’indagato, renderebbe possibile la ablazione di esso da parte dello Stato. Per converso spetta al giudice della cautela valutare la concludenza dimostrativa degli elementi addotti dalla pubblica accusa onde verificare se i dati probatori, anche meramente indiziari o frutto della applicazione di massime di esperienza, forniti dalla pubblica accusa portano a deporre nel senso della strumentalità, anche tramite modalità simulatorie, della intestazione del bene al terzo esclusivamente, o quantomeno principalmente, finalizzata allo scopo di sottrarre il compendio patrimoniale all’interesse dello Stato alla confisca del profitto e del prodotto del reato.
Tali considerazioni vengono condotte poi dalla Corte con riferimento alla compatibilità dei ricordati provvedimenti penali con il conferimento di beni in un fondo patrimoniale ovvero con la costituzione di un trust destinato all’amministrazione degli stessi.
Per quanto attiene al fondo patrimoniale – istituto di diritto civile previsto e disciplinato dagli artt. 167 e ss cod. civ. allo scopo di rendere un compendio di beni, destinati da uno o da ambedue i coniugi “a far fronte ai bisogni della famiglia”, impermeabile, per come risulta chiaramente dalla previsione contenuta nell’art. 170 cod. civ., alle azioni esecutive intentate dai creditori particolari dei coniugi, laddove costoro siano consapevoli, ovvero lo debbano ragionevolmente essere, che le obbligazioni azionate erano state contratte per scopi estranei ai bisogni della famiglia – la soluzione in ordine alla confiscabilità dei beni in tal modo segregati è agevole sotto il duplice profilo. In primo luogo infatti la titolarità del bene destinato ad alimentare il fondo non cessa in capo al disponente, al massimo essa, se non è diversamente previsto dal titolo costitutivo, si trasmette anche all’altro coniuge ai sensi dell’art. 168 cod. civ., sicché non vi è alcun ostacolo formale alla piena applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 323-ter cod. pen., i quali impongono che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ricada su beni in relazione ai quali il reo abbia almeno un legame di disponibilità; in secondo luogo la finalità del fondo patrimoniale, tutta rivolta alla salvaguardia dei beni necessari per il sostentamento della famiglia dalle azioni esecutive che traggono origine da obbligazioni assunte per scopi estranei a tale specifico tema, rende irrilevante la sua istituzione laddove si discuta non di attuazione coattiva di obbligazioni civili ma di strumenti, aventi sostanziale valenza sanzionatoria (Cass. Sezione II penale, 27 marzo 2015, n. 13017).
Per quanto attiene al Trust la questione è più complessa ed articolata.
Infatti i beni trasferiti, pur appartenendo al disponente, non sono suoi: il diritto trasferito, non limitato nel suo contenuto, lo è invece nel suo esercizio, essendo finalizzato alla realizzazione degli interessi dei beneficiari. Questo meccanismo comporta che i creditori del settlor non possono soddisfarsi sui beni conferiti in trust perché essi sono nella proprietà del trustee; che i creditori del trustee a loro volta non possono del pari soddisfarsi perché i beni sono oggetto di segregazione; che i creditori dei beneficiari possono soddisfarsi soltanto sulle attribuzioni che in pendenza di trust sono loro effettuate.
Soltanto allo scioglimento del trust i creditori dei beneficiari potranno soddisfarsi su quanto è loro attribuito. Infine, è importante rilevare che il trust è costituito dal disponente (nella specie l’indagato) con un atto unilaterale non recettizio (cfr. art. 2 Convenzione de L’Aia ratificata con legge n. 364 del 1989) che, nel caso di specie (trust familiare) ha natura gratuita.
Allora le valutazioni che debbono essere condotte per il Trust sono molteplici. Esse attengono:
– alla struttura giuridica: se il trust familiare è costituito dall’indagato con un semplice atto unilaterale non recettizio di natura gratuita a favore di stretti familiari, non vi sarebbe una reale uscita del patrimonio dall’orbita di interesse del soggetto disponente;
– all’effetto giuridico: il trust rientra fra i negozi fiduciari, così come l’interposizione reale in cui l’interposto – e cioè una terza persona – a seguito di un accordo fiduciario, amministra e gestisce i beni dell’indagato: l’analogia, mutatis mutandis, fra l’interposizione reale, per la quale è pacifica l’ammissibilità del sequestro dei beni amministrati dall’interposto, con l’effetto segregativo del trust, è evidente;
– alle conseguenza pratiche e fattuali: a seguito della costituzione del trust familiare, i beni dell’indagato restano comunque in ambito familiare, sicché, come già sopra segnalato, essi continuano a rimanere nella sua disponibilità da intendersi in senso lato.
Tali circostanze vanno tuttavia analizzate e provate da chi chiede il provvedimento. Cosa che nel caso specifico considerato non sarebbe avvenuta, secondo la Corte.
Una impostazione in conclusione, quella della Corte, che ha certo qualche elemento di garanzia in più rispetto al Tribunale. Ma che ancora una volta forse dimostra come il Giudice spesso non coglie appieno le peculiarità del Trust.
Istituto che, per fare un esempio, ha poco a che vedere con l’intestazione fiduciaria. E che non assicura una disponibilità “in senso lato” perché (se è vero Trust) c’è uno spossessamento netto, anche se solo nello scopo e nelle finalità del patrimonio segregato. Non corretto poi il riferimento allo “sham Trust” che nella Convenzione dell’Aia si ha in ipotesi molto circoscritte e non in quella menzionata (nella quale si dovrebbe forse parlare di inefficacia per il contrasto con norme imperative interne).