Il titolo non tragga in inganno. Non stiamo affermando che le pronunce di cui parleremo abbiano sovvertito quanto stabilito lo scorso dicembre dalle Sezioni Unite relativamente al disconoscimento dell’obbligo del contraddittorio preventivo endoprocedimentale nei cosiddetti accertamenti a tavolino (sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015). Sentenza che aveva a sua volta contraddetto, ricordiamo, un principio di garanzia maturato coerentemente negli anni in tutta la giurisprudenza della Corte UE, poi in quella stessa della Cassazione (anche a Sezioni Unite), poi infine riaffermato nel 2015 dalla Consulta e improvvisamente negato dalla sentenza appena citata.
Sappiamo anche che, stante l’Ordinanza della prima sezione della CTR Toscana (v. CTR Toscana, 18 gennaio 2016, n. 736, Pres. E Rel. Mario Cicala), la vicenda ha preso ormai la strada della Corte Costituzionale e che i dubbi di legittimità sono stati posti, tra l’altro, proprio sulla differenza di trattamento che si palesa (dopo quanto affermato dalle Sezioni Unite) tra accertamenti a tavolino e accertamenti in azienda.
Ebbene, non è del tutto vero che all’interno della categoria relativamente alla quale il principio del contraddittorio non si applica, quella appunto degli accertamenti a tavolino, esso non trovi asilo: viene invece applicato da tempo in ampi contesti, e continua ad esserlo anche dopo la pronuncia del dicembre scorso.
Ci forniscono degli esempi attualissimi, in ordine cronologico, l’ordinanza n. 17720 del 7 settembre 2016 e la sentenza n. 17829 del 9 settembre 2016.
Cominciamo dalla seconda (sentenza n. 17829 del 9 settembre 2016), poiché riferita a un caso in cui il contraddittorio si applica per obbligo di legge. Il richiamo è all’articolo 6 comma 5 della legge 212/2000 secondo il quale prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti. Nel caso di specie i giudici di legittimità hanno rilevato che la rettifica operata sul credito del contribuente riguardava sicuramente un aspetto rilevante della dichiarazione. Per tale motivo si sarebbe preventivamente dovuto invitare il contribuente a fornire gli opportuni chiarimenti. La rettifica del credito operata in dichiarazione è pertanto illegittima.
Niente di nuovo neppure dall’altra pronuncia (ordinanza n. 17720 del 7 settembre 2016). La decisione, pur confermando l’esclusione del contraddittorio preventivo negli accertamenti a tavolino, sottolinea l’importanza per il giudice di porre estrema attenzione sugli elementi posti a base della pretesa. Spesso infatti negli accertamenti fondati sugli studi di settore si conclude con il rilievo per cui quanto dichiarato dal contribuente è in ogni caso antieconomico. Secondo la Corte va verificato quale sia il dato di antieconomicità: se l’accertamento fosse infatti basato solo sugli studi di settore sarebbe necessario attivare il contraddittorio preventivo e l’accertamento emesso senza tale procedura sarebbe da dichiarare illegittimo.
Insomma la questione come delineata dalle Sezioni Unite nel dicembre scorso, lungi da trovare una unità interpretativa sotto un principio comune, sta producendo pronunce di dubbia coerenza e di variegata interpretazione ai limiti dell’irragionevolezza.
Riepilogando con riferimento a queste due massime abbiamo che, trattando ambedue di imposte dirette, il contradditorio endoprocedimentale non può contare su di una tutela generale. La avrebbe solo se fossimo in ambito IVA, in quanto tributo armonizzato. Poi si deve aver riguardo alla distinzione tra accertamenti in azienda e accertamenti a tavolino. Contraddittorio obbligatorio nel primo caso, non nel secondo. Collocate le due situazioni sotto esame della Corte negli accertamenti a tavolino, si ha che a questo punto il contraddittorio preventivo è indispensabile nel caso di incertezze su aspetti rilevanti della liquidazione. Perché esiste una previsione di legge. Occorre quindi stabilire il confine tra incertezza e certezza, tra aspetti rilevanti ed irrilevanti. Ma c’è una norma e quindi la tutela, pur non generalizzata, esiste. Non c’è invece nell’altra situazione, basata sull’antieconomicità. Ma se l’antieconomicità come criterio generale facesse riferimento, come elemento probatorio, agli studi di settore, occorrerebbe nuovamente l’attivazione del contraddittorio perché si sta utilizzando uno strumento parametrico: per questo tipo di presunzioni le celeberrime sentenze del 18/12/2009 della Cassazione prevedono il confronto preventivo col contribuente. Non per una previsione di legge come nel caso precedente, ma per quanto affermato dalle predette sentenze del 2009.
Bene, pare forse il caso di fare una riflessione sui principi qui esposti. E su questa complessiva costruzione giurisprudenziale della Suprema Corte, sulla cui coerenza e sistematicità riteniamo di non aggiungere altro.