Accertamento analitico-induttivo solo a certe condizioni.

Interessante sentenza della V Sezione sugli accertamenti analitico-induttivi. E’ la numero 18662 del 23 settembre 2016 (Pres. Canzio, Rel. Novik).

Da evidenziare soprattutto la parte della motivazione (concisa ed efficace) nella quale si cerca di ricostruire una sintesi delle condizioni sulle quali, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 dei 1973, l’amministrazione può fondare il proprio accertamento prescindendo dalla contabilità anche se ben tenuta. Ciò accade con riferimento sia all’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia agli studi di settore.

In quest’ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente” (Cass. 6389/2014; Cass.17038/2002).

Si specifica poi che l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, ma solo quando essa raggiunga livelli di abnormità, tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità (Cass.20201/2010; cfr. 5870/2003).

In sintesi, dovendo l’accertamento analitico induttivo di maggiori ricavi fondarsi su un concorso di indizi gravi, precisi e concordanti, quello che abbia luogo in applicazione di percentuali di ricarico postula l’adozione “di un criterio che sia: (a) logicamente coerente e congruo con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; (b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; (c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni” (3197/13). Per cui la “insufficienza o inadeguatezza del campione” è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito.

Nel caso in contestazione la C.T.R. aveva respinto l’appello dell’Agenzia sul decisivo rilievo che a) i verificatori avevano effettuato la ricostruzione dei ricavi senza alcuna distinzione tra le varie categorie di merce; b) non era comprensibile la modalità di determinazione delle percentuali di ricarico adoperate e sulla loro natura, cioè “se si tratti di percentuali di ricarico minime riscontrate nel medesimo settore merceologico, ovvero da medie di settore”.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene pertanto respinto.