L’ordinanza n. 15589 del 22 luglio 2020 della Quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. D’Aquino), ribaltando la sentenza di appello, accoglie le doglianze di un contribuente in relazione ad un accertamento induttivo svolto attraverso la determinazione di una percentuale di ricarico ritenuta dai Giudici di Legittimità non consona (come criteri di determinazione, evidentemente) rispetto alle regole che devono ispirare gli accertamenti induttivi.
Infatti secondo la Sezione Tributaria “in tema di rettifica della dichiarazione IVA, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, in sede di accertamento induttivo, deve avvenire adottando un criterio che sia: (a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; (b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; (c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni”.
Nel caso specifico il margine viene calcolato su un campione non significativo di fatture di vendita (nove su più di 1.500…), rispetto alle quali non sono stati indicati i criteri di individuazione del campione, di rappresentazione della significatività del campione medesimo, nonché sia in quanto il dato potrebbe essere falsato dalla indicazione di un diverso e minore numero di lavoratori impiegati nella specifica attività caratteristica relativamente alla quale è stato operato il suddetto calcolo.
Inoltre per la Corte tale modalità di determinazione della reale percentuale di ricarico (quella del principio riportato sopra tra virgolette) prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell’imprenditore risulti formalmente regolare (Cass., Sez. VI, 15 dicembre 2017, n. 30276).
Il ricorso del contribuente viene pertanto, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio anche sulle spese del giudizio di Legittimità.