L’Ordinanza 15 luglio 2021, n. 20132 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Fuochi Tinarello, Rel. D’Auria) respinge un ricorso, francamente pretestuoso da quello che appare in motivazione, dell’Agenzia delle Entrate in tema di accertamento sintetico, con un irrituale tentativo di estensione dei recuperi al profilo di inerenza dei costi e lo fa, dispiace dirlo, senza una adeguata condanna alle spese.
La Suprema Corte semplicemente applica la Legge (il che in questo periodo travagliato della Giustizia Tributaria non è purtroppo sempre scontato) ricordando che l’art. 32 comma 1 n. 2 del dpr 29 settembre 1973 n. 600, in materia di dichiarazione dei redditi, e l’art. 51 comma 2 n. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in tema di IVA, consentono all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari dallo stesso intrattenuti.
Ma la presunzione semplice, di cui ai citati articoli, circa l’omessa sottrazione di ricavi conseguiti, correlata agli accertati prelevamenti e versamenti, operati sui conti correnti bancari, deve ritenersi superata qualora tali voci siano state regolarmente contabilizzate e lo stesso contribuente, come suo onere, fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione ( vedi Sez. 5, Sentenza n. 14420 del 08/07/2005, Rv. 582676 – 01).
Nel caso specifico, secondo i Giudici di Legittimità, la CTP e la CTR, con accertamento esente da vizi logici, hanno ritenuto, in base alla perizia stragiudiziale depositata, era stata in parte provato che i prelievi si riferissero al pagamento di fornitori e i versamenti provenissero sempre da attività di impresa . Del resto il fatto stesso che il giudice del merito abbia non considerato giustificati tutti i movimenti, nell’ambito dei principi contabili afferenti all’impresa, dimostra come l’accertamento sia stato condotto con specificità ed analiticamente, rifuggendo da accertamenti “all’ingrosso” contrariamente a quanto dedotto con il motivo del ricorso.
Nel contesto applicativo della presunzione di cui all’art. 32 citato, il giudice doveva solo accertare quali movimenti erano relative all’impresa e della relativa contabilizzazione, e non poteva spingersi, senza violare il principio della domanda, anche ad accertare l’esistenza nella dimostrazione del requisito dell’inerenza all’attività di impresa come previsto dall’art. 109, comma 5, TUIR.
Per la Corte dunque il ricorrente contestando sotto diversi profili la prova, si prefiggeva di attaccare il processo logico e la motivazione, al fine di ottenere un nuovo esame del materiale probatorio, che invece il giudice del merito ha condotto nella specie in modo particolarmente dettagliato ed approfondito, pervenendo, attraverso una diversa selezione degli elementi rilevanti – la cui scelta ed il cui apprezzamento appartiene al giudice di merito – ad una diversa ricostruzione dei fatti, pertanto tale motivo va rigettato.
Niente viene detto, come già osservato, in relazione alle spese del giudizio.