“In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione” questo il principio di diritto espresso con sentenza n. 26512 del 30 settembre 2021 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Napolitano, Rel. Maisano) in accoglimento di un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.
Nei fatti l’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti di un concierge responsabile di un hotel di lusso in Costa Smeralda con il quale venivano recuperati a tassazione per l’anno 2007 redditi da lavoro dipendente non dichiarati per euro 83.650,00, corrispondenti a mance percepite dal contribuente nello svolgimento delle proprie mansioni di capo ricevimento. Il ricorso del contribuente veniva respinto dalla CTP di Sassari, mentre la CTR accoglieva l’appello. Nelle motivazioni il giudice di seconde aveva considerato non tassabili le somme percepite a titolo di mance ritenendole non comprese nella previsione di reddito da lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR (nel testo in vigore dal primo gennaio 2004 al 2008) stante la loro natura aleatoria ed in quanto percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.
Come ricordato dai Giudici il legislatore attraverso l’attuale art. 51, primo comma, del TUIR (nel testo post riforma del 2004, applicabile ratíone temporis alla controversia) prevedendo espressamente che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” ha introdotto il principio di onnicomprensività che giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento.
Come ribadito dalla Corte è dunque il nesso di derivazione delle somme che comunque promanino dal rapporto di lavoro a giustificarne la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste. In merito proprio la stessa Corte si era già espressa osservando che “mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti” (cfr. Cass. sez. lav., 21 marzo 2006, n. 6238)
Accolto il ricorso dell’Agenzia i Giudici di Legittimità hanno dunque rinviato la causa per un nuovo esame alla CTR della Sardegna.