La Sentenza 13 dicembre 2017, n. 29873 della sezione tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cappabianca, Rel. Scalisi) riafferma in sostanza che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante.
Ora, chi abbia un minimo di esperienza in questo ambito non di rado si trova dinanzi a un quadro probatorio totalmente presuntivo nel quale si riepilogano gli elementi caratterizzanti la “cartiera”, senza alcun riferimento al grado di conoscibilità della frode da parte dell’acquirente. Ciò non è sufficiente a costruire una prova per presunzioni caratterizzata da gravità presunzione e concordanza. Non basta insomma un ammasso di notizie tratte dalle indagini a costruire una prova.
Ciò premesso la Corte ricorda, correttamente che il contribuente potrà poi dimostrare, “di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti”. Ma solo a seguito di una prova, anche per presunzioni (qualificate) da parte dell’amministrazione.
Nel caso specifico la Corte ritiene corretta quindi la motivazione della CTR che ha ritenuto “nel loro complesso, gravi ed univoci né significativamente concordanti tra loro al fine di fornire la prova presuntiva idonea a far ritenere integrata la fattispecie dell’interposizione soggettiva”. Cioè è stata valutata giusta in punto di motivazione la sentenza che si interroga, prima di esaminare le ragioni del contribuente, sulla corretta costruzione della prova per presunzioni da parte dell’Agenzia.
Inequivocabile sul punto il seguente passaggio motivazionale: “Il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonché di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito”.
E’ quindi corretto sul piano giuridico (oltre che coerente su quello logico-formale) che il giudice di merito abbia posto l’attenzione sulla valenza probatoria presuntiva dei fatti riferiti dall’agenzia delle entrate nell’accertamento. Ciò preliminarmente ad ogni possibile esame delle ragioni di difesa del contribuente, di segno contrario.