Ancora una discutibile sentenza in tema di superficie utile.

Se è vero com’è vero che il nostro ordinamento giudiziario, pur senza i vincoli (e le sanzioni per chi disapplica il precedente) dei paesi di Common Law, sta viaggiando senza freni sul binario dello “stare decisis” e che i precedenti significativi in tal senso sono quelli della Corte di Cassazione, c’è da chiedersi, davvero con preoccupazione,quis custodiet custodes.

Vicende che poggiavano su una valutazione evidentemente sbagliata della Suprema Corte, come la traslazione del valore definito per il registro alle imposte dirette (valore il primo, corrispettivo realizzato il secondo) hanno visto dopo più di un decennio l’intervento del legislatore per ripristinare una situazione di correttezza interpretativa, per esempio. Con buona pace di chi, nel frattempo, ha pagato imposte perdendo le cause.

In un ambito differente, ovvero quello delle agevolazioni prima casa, con la sentenza 28 settembre 2016 n. 19101 della V Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Salvago, Rel. Meloni) si torna a decidere conformemente ai precedenti, dal 2013 in avanti, sulle modalità di determinazione della “superficie utile” ai fini della individuazione delle abitazioni di lusso. E, com’è noto, l’interpretazione della disposizione, basata su un vecchio DM Lavori Pubblici del 1969, è strettamente letterale. Cioè se nel decreto si sono esclusi balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e  posto macchina dal computo, tutto ciò che non è escluso è da intendersi compreso. Nel caso specifico un locale seminterrato. Che con il lusso dovrebbe avere ben poco a che fare. Ma sappiamo bene che in questo filone sono stati computati i muri perimetrali e divisori, i sottoscala, le soffitte, anche senza le altezze per l’abitabilità (in quest’ultimo caso in realtà i precedenti non sono del tutto omogenei tra loro).

Nella specifica vicenda, la motivazione della sentenza ripete alcuni precedenti sia quando precisa i criteri generali sia quando identifica anche nei locali non abitabili, ma utilizzabili, il presupposto per considerare o meno di lusso una casa con riferimento alla superficie.

Ma siamo del tutto convinti di questa interpretazione? E’ possibile che questa sia una lettura rispettosa dei principi costituzionali sotto il profilo della ragionevolezza e della capacità contributiva?
E allora è forse il caso di chiedersi:

  • Davvero una casa con mura più spesse è maggiormente di lusso rispetto ad una con pareti più piccole?
  • E’ vero che l’esistenza di un sottoscala attribuisce alla casa caratteristiche di lusso rispetto all’assenza dello stesso?
  • E’ vero che nella valutazione del livello di lusso di una casa i metri quadri occupati dai muri perimetrali e divisori hanno la stessa identica incidenza di quelli di un salone?
  • E’ da negare che si debbano almeno esprimere i metri quadri occupati dalla muratura o dai locali accessori in superficie equivalente utilizzando dei coefficienti elaborati in edilizia?

E’ arrivato forse il momento di porre la questione dell’esistenza di una irragionevole corrente interpretativa. Il suo progressivo consolidamento non la rende per questo logicamente e giuridicamente accettabile. E’ un fatto che può accadere anche se, fortunatamente, non accade con frequenza. Ma c’è necessità di trovare dei correttivi. Non dovrebbe essere difficile: in definitiva siamo in ambito tributario e quindi vale la riserva di legge di cui all’Art. 23 della Costituzione; inoltre non si può dimenticare che, in definitiva, il Giudice è soggetto solo alla Legge (101 Cost.) e che anche il precedente si può rivedere. Magari, torniamo a dire, chiediamo al Ministero delle Infrastrutture (l’attuale Ministero corrispondente a quello dei Lavori Pubblici) quale sia l’interpretazione corretta del DM del 1969.

In questo contesto però l’unica interrogazione parlamentare è stata posta al MEF e si può intuire come sia andata a finire…..