Con la sentenza 701 del 15 gennaio 2019 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Gori) affronta dopo un po’ di tempo in maniera sistematica ed approfondita il tema del contraddittorio endoprocedimentale preventivio, con riferimento all’articolo 12 comma 7 dello “Statuto”, spaziando sulla normativa comunitaria e sui principi affermati in altre norme interne.
Alla fine vengono affermati i seguenti principi di diritto:
1) l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non;
2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario;
3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità.
Come si vede niente di particolarmente sconvolgente sul piano dell’innovazione interpretativa, ma sufficiente a respingere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nel quale si cercava di affermare una suggestiva tesi secondo la quale nel caso in cui l’articolo 12 comma 7 si applichi a tributi interni, con l’emissione dell’atto ante tempus, si avrebbe la nullità dello stesso, mentre per i tributi armonizzati sarebbe necessaria, in più, la prova di resistenza prevista da alcune sentenze della Corte UE (a nostra memoria solo la “Kamino international”).
La Corte respinge questa lettura dell’art. 12, comma 7, dello Statuto che restringerebbe la protezione da accordare ai tributi armonizzati rispetto a quella che è assicurata dal diritto interno ai tributi non armonizzati.
Ricordiamo il nostro personalissimo punto di vista sulla questione della “prova di resistenza”. La sentenza “Kamino International” quando ne parla, fa riferimenti giurisprudenziali a catena. Tale catena termina con sentenze anteriori sia all’emanazione della Carta di Nizza, che del Trattato di Lisbona successivo con il quale la Carta ha assunto “la stessa efficacia giuridica dei trattati”. Il che non pare un aspetto secondario. Nel diritto interno, poi, le regole del procedimento amministrativo sul punto, richiamate indirettamente anche dalla sentenza (ci riferiamo in particolare al secondo comma dell’articolo 21-oties), non sono applicabili stante il limite fissato dall’articolo 13 della L. 241/90 per il quale le regole sul procedimento amministrativo “non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”.
Auspichiamo al riguardo che la Suprema Corte, oltre a citare se stessa (in particolare SS.UU. 24823/2015), affrontasse un giorno queste modestissime perplessità, che forse non sono solo nostre, in materia di “stress-test” sul contraddittorio preventivo tributario.