E’ noto che per tredici anni (dal 2002 in avanti) un orientamento molto discusso della Corte di Cassazione aveva creato di fatto un rigido automatismo tra il valore definito ai fini del registro nelle cessioni di immobili e di aziende e quello rilevante ai fini delle imposte dirette per stabilire il corrispettivo realizzato e quindi l’entità di eventuali plusvalenze. Valore da una parte e corrispettivo dall’altra venivano di fatto equiparati, sulla base di una inversione dell’onere della prova che si determinava in capo al cedente una volta fissato il valore. Prova diabolica, giacché provare di non aver percepito un prezzo ritenuto congruo per altri aspetti è veramente un’impresa ardua.
Recentemente l’art. 5, 30 comma del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 è intervenuto sulla questione e ha così disposto “Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, resistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347″.
Per come è formulata la norma si è immediatamente desunto il suo valore interpretativo. E tale valutazione è stata già fatta dalla Corte di Cassazione nell’anno in corso in almeno due successive occasioni (n. 6135 del 30 marzo e n. 7488 del 15 aprile).
L’Ordinanza del 6 giugno 2016 n. 11543 della Sesta Sezione della Corte di Cassazione, Presidente Iacobellis, Relatore Caracciolo, conferma questo recentissimo orientamento. E lo fa disattendendo la relazione depositata il 30 luglio 2015 che aveva proposto l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate proprio sulla base del precedente filone giurisprudenziale.
I giudici hanno sottolineato come la nuova norma, ponendosi espressamente quale norma d’interpretazione autentica, ai sensi dell’art. 1 comma 2 della L. n. 212/2000, sia applicabile retroattivamente. E si hanno notizie che ormai anche l’Agenzia delle Entrate stia abbandonando le liti fondate su questa unica prova presuntiva.