Ottenuto l’annullamento parziale di un atto definitivo, si può impugnare il debito residuo? In altri termini si considera la pretesa parziale come un atto nuovo oppure no? O per altra via, contenendo un parziale diniego di autotutela, tale atto è per questo impugnabile?
Come si vede non sono da poco le questioni poste dalla Sentenza 15 aprile 2016 n. 7511 della Corte di Cassazione. Si anticipa che i Giudici propendono per la risposta negativa a tutte le domande di cui sopra. E ciò in contrasto con altra recente giurisprudenza (es. Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015).
In primo luogo la Corte valorizza il principio affermato da Cass., SS.UU. n. 3698 del 16/02/2009 cui si afferma di voler dare continuità, secondo il quale «in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del DLgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo».
I Giudici danno atto che in senso difforme una giurisprudenza successiva ha ritenuto impugnabile l’annullamento parziale, adottato nell’esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell’originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (appunto Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015).
Tale precedente secondo i Giudici non offre però argomenti convincenti a supporto dell’accolta soluzione, apparendo di contro dirimente il rilievo che, se si tratta di annullamento parziale o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, esso non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, per converso potendo e dovendo ammettersi una autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.