La Corte di Cassazione con la Sentenza 11 novembre 2016, n. 23017 della quinta sezione (Pres. Vivaldi, Rel. Lamorgese) affronta il caso di un contribuente che, impugnato un avviso di accertamento, si era visto ridurre in autotutela la pretesa dall’Agenzia delle Entrate. Dal riconoscimento di perdite pregresse, che inizialmente non era stato fatto, si era generato l’annullamento della pretesa tributaria per quella annualità. Tuttavia non era stato rettificato, come richiesto dal contribuente nell’istanza di autotutela e nel ricorso, l’imponibile. Tanto che per un’annualità successiva l’utilizzo delle perdite concesso in autotutela aveva ridotto la perdita utilizzabile e generato un altro recupero, pure oggetto di altro ricorso.
I giudici di merito, con un errore evidentissimo per riformare il quale ci sono voluti tre gradi di giudizio, hanno concluso che non vi fosse più interesse a portare avanti la causa stante l’azzeramento della pretesa. Il contribuente difatti aveva visto respingere prima il ricorso e poi l’appello sul presupposto che la materia del contendere fosse da ritenere cessata con il provvedimento di autotutela.
Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza della CTR si è immotivatamente discostata dal principio secondo cui la conclusione del processo si verifica solo quando sia sopravvenuta una situazione che abbia eliminato con certezza la posizione di contrasto tra le parti, facendo in conseguenza venir meno oggettivamente la necessità della pronuncia del giudice e quindi anche l’interesse al ricorso per cassazione che ne condizioni l’ammissibilità (Cass. n. 5280/1982). Infatti la giurisprudenza ha precisato anche che la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conformi conclusioni in tal senso (Cass. n. 11813/2016, n. 16886/2015).
Nessuna di queste situazioni si è verificata nella specie, ragion per cui la sentenza della CTR è da cassare.