La sentenza n. 8351 del 27 aprile 2016 della V Sezione della Corte di Cassazione ha riconosciuto che la condizione di forza maggiore non fa perdere il diritto ai benefici prima casa se non vi è stato il trasferimento di residenza nei termini di legge.
Come ha fatto notare qualche giorno fa il principale quotidiano economico nazionale questa massima è in aperto contrasto con ciò che ha affermato la stessa V Sezione (con differente Presidente e relatore) solo un paio di mesi prima e precisamente con la Sentenza n. 2616 del 10 febbraio 2016.
Addirittura tranchant è l’elaborazione in questa precedente massima: “Il conseguimento dell’agevolazione fiscale, o, meglio, la conservazione di essa non scaturisce dall’adempimento di un obbligo del contribuente nei confronti del fisco, in quanto il fisco non è affatto titolare di una corrispondente e correlata situazione di diritto soggettivo. È il contribuente ad essere titolare di una situazione giuridica attiva, che è il potere di produrre, mediante l’attività in questione (cioè il trasferimento di residenza), che assume la configurazione di onere, l’impedimento di un effetto giuridico svantaggioso, ossia il venir meno del presupposto dell’agevolazione. Al cospetto di tale potere, il fisco non può che subirne l’esercizio, né dovrà cooperare, come avviene allorquando si realizzano diritti, quando la controparte si trova in una situazione di dovere. Quando l’ordinamento, come nel caso in esame, limita nel tempo la possibilità del soggetto di produrre un effetto giuridico a sé favorevole, o d’impedirne uno a sé sfavorevole, mediante l’esercizio di un potere, la mancata produzione dell’effetto scaturente dal mancato compimento dell’atto entro il termine fissato si presenta come estinzione del potere, ossia come decadenza”.
Nella Sentenza del 27 aprile si legge invece qualcosa di molto diverso: “è .. la stessa giurisprudenza ad avvertire la necessità di adottare, anche in materia, la nozione ‘comune’ di forza maggiore. Individuabile in un evento reso tipico dall’essere imprevedibile, inevitabile ed a tal punto cogente da sovrastare, precludendone obiettivamente la realizzazione, la volontà dell’acquirente (nella specie riferita all’adempimento del suddetto obbligo di trasferire la residenza nel termine di legge); la cui condotta non realizzativa del dichiarato presupposto dell’agevolazione risulta, per tali ragioni, in definitiva a lui non imputabile.
Va detto che analoga conclusione varrebbe comunque pur a fronte della qualificazione del comportamento del contribuente come onere, e non come obbligo di prestazione. Posto che anche in tal caso la forza maggiore, pur non incidendo su un vero e proprio adempimento, si porrebbe comunque quale evento impeditivo – non imputabile – dell’attuazione della volontà dell’onerato; e, con ciò, dell’integrazione della situazione fattuale alla quale l’ordinamento ricollega l’agevolazione”
Chi avesse avuto occasione di sfogliare l’ultima edizione del pregevolissimo testo del Notaio Busani sulle agevolazioni prima casa (uscita pochi mesi fa) forse si sarà domandato come sia possibile che su un tema così basilare per i nostri rapporti economici e sociali (la tutela dell’accesso alla casa di abitazione, costituzionalmente garantita) si debba scrivere un trattato di 1.200 pagine vista l’enormità dei dubbi e delle letture date dalla giurisprudenza. E come si possano coniugare i principi base dell’ordinamento e quelli statutari con delle vere e proprie “trappole” giuridiche che incidono pesantemente sui beni primari come è la casa di abitazione. Recentemente anche sul nostro approfondimento abbiamo parlato di alcuni casi come quelli dei metri quadri “utili” (muri inclusi!!), questione che è stata anche oggetto di una recente interrogazione parlamentare, seppur al ministero sbagliato (MEF invece che infrastrutture).
Forse sarebbe l’ora di fissare una regola di buona fede e di ragionevolezza in questo genere di imposizione fiscale. Ma questo sarebbe compito di un legislatore illuminato….