Forse si comincia a definire una vicenda spiacevole che ha intasato le aule della giustizia tributaria per anni, solo in virtù di una pervicace quanto immotivata lettura fornita dalle Entrate del “bonus energia” previsto dall’articolo 1, commi 344 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dal decreto del ministero dell’Economia e delle finanze 19 febbraio 2007, nel caso di agevolazione fruita da società immobiliari di gestione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19815 della Sezione Tributaria (Pres. Cirillo, Rel. Guida) depositata il 23 luglio 2019, ha infatti rigettato il ricorso dell’Agenzia contro una delle numerose sentenze contrarie all’interpretazione restrittiva per anni applicata a carico delle società predette, con conseguenti recuperi direttamente in cartella di pagamento.
La risoluzione dell’agenzia delle Entrate 340/E del 1° agosto 2008, infatti, sostenne che l’agevolazione non spetterebbe per i lavori eseguiti da un titolare di reddito d’impresa su unità immobiliari (abitative o non) adibite a locazione e quindi, in pratica, non spetterebbe alle cosiddette «società immobiliari di gestione» per le unità immobiliari non utilizzate direttamente.
Per giustificare tale presa di posizione, l’Agenzia faceva riferimento a una non meglio definita ‘interpretazione sistematica’ secondo la quale il beneficio sarebbe, nel caso, attribuibile «esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi».
Ciò in un contesto nel quale l’intento del Legislatore, più volte esplicitato in documenti ufficiali, era quello di agevolare la riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Una finalità oggettiva, dunque, che evidentemente doveva prescindere dai soggetti proprietari e dalla utilizzazione dell’immobile.
Una corretta ‘interpretazione sistematica’ della normativa, dunque, avrebbe dovuto casomai far identificare lo scopo dell’agevolazione nel contenimento dei consumi energetici, tanto è vero che l’unica condizione posta dalla legge e dal decreto attuativo era che l’agevolazione spettasse a chi sostiene la spesa.
Contro questa interpretazione si schierò la norma di comportamento 184 elaborata dalla Commissione norme di comportamento dell’Aidc, che ebbe a evidenziare come “L’agevolazione fiscale per gli interventi volti al risparmio energetico, consistente nella detrazione del 55% prevista dall’articolo 1, commi 344 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dal decreto del ministero dell’Economia e delle finanze 19 febbraio 2007, spetta a chi esegue e sostiene la spesa dell’intervento, qualunque sia la categoria catastale dell’unità immobiliare interessata e la tipologia di contribuente (persona fisica o società) indipendentemente dal tipo di attività svolta e, quindi, anche ove lo stesso sia titolare di reddito d’impresa. Il decreto del ministero dell’Economia e delle finanze del 19 febbraio 2007 e successivi aggiornamenti , dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 1, comma 349 della legge 27 dicembre 2006, prevede all’articolo 2, primo comma, lettera a) che la detrazione fiscale del 55% per interventi di risparmio energetico ….spetti anche «ai soggetti titolari di reddito d’impresa che sostengono le spese per l’esecuzione degli interventi di cui al predetto articolo 1, commi da 2 a 5, sugli edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, posseduti o detenuti». (…) Al comma 2 dello stesso articolo 2 del Dm 19 febbraio 2007 sono previste regole speciali soltanto per le società di locazione finanziaria, con beneficio riservato solo al soggetto ‘utilizzatore’. Pertanto, salvo quanto appena detto, la norma non prevede alcuna eccezione né di tipo oggettivo (unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale) né di tipo soggettivo (persone fisiche e soggetti non titolari di reddito d’impresa, nonché tutti i titolari di reddito d’impresa, inclusi società ed enti), ma prescrive soltanto il puntuale rispetto di alcuni adempimenti, indicati negli articoli 4 e seguenti del citato Dm 19 febbraio 2007”.
Sulla stessa linea dello studio dell’AIDC si snoda la motivazione della Suprema Corte che arriva ad affermare “Composto il quadro normativo di riferimento, è ovvio che la detrazione d’imposta, ossia il bonus fiscale del 55%, è finalizzata alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti e si rivolge ad un’ampia platea di beneficiari (“soggetti ammessi alla detrazione”), siano essi “persone fisiche”, “non titolari di reddito d’impresa”, o “soggetti titolari di reddito di impresa”, incluse le società, con la precisazione che, se gli immobili sui quali è effettuato l’intervento sono concessi a terzi a titolo di leasing, la detrazione è comunque dovuta, ma compete all’utilizzatore anziché alla società concedente”.
Quanto alla risoluzione di cui si è detto, essa per la Corte “è solo un parere formulato dall’Agenzia in risposta ad uno specifico quesito di un contribuente, che non vincola né il destinatario né a maggior ragione il giudice, conformemente a quanto stabilito dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 2/11/2007, n. 23031) che, con riferimento all’analoga questione della qualificazione giuridica delle circolari dell’Amministrazione finanziaria, hanno precisato che: «La circolare con la quale l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice) […]» (conf.: Cass. 21/03/2014, n. 6699)”.
Quanto alla questione interpretata, i Giudici della Sezione Tributaria rilevano come “Nel caso concreto, la delimitazione del perimetro applicativo della detrazione, che l’Amministrazione finanziaria assume essere coerente con una “interpretazione sistematica” della normativa di settore, a giudizio di questa Corte, innanzitutto, collide con il carattere di “detrazione dall’imposta” proprio del beneficio fiscale, che è estraneo al diverso tema della quantificazione del “reddito imponibile”, che, invece, assiste la linea argomentativa del fisco; in secondo luogo, è incompatibile con l’interpretazione letterale delle norme che Introducono l’agevolazione fiscale, senza prevedere alcuna limitazione soggettiva”.