La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza n. 23397 depositata il 17 novembre 2016, affronta la questione posta dalla Sesta Sezione civile, con ordinanza 29 gennaio 2016, n. 1799, sulle asserite “disarmonie” giurisprudenziali della Corte stessa relativamente all’ambito di applicabilità dell’art. 2953 cod. civ. con riferimento alla riscossione mediante ruolo di diversi tipi di crediti per entrate pubbliche, sia tributarie che contributive, nel caso di mancata impugnazione della cartella di pagamento nel termine decadenziale di legge.
Ricordiamo che secondo l’articolo l’art. 2953 del codice civile: “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Secondo talune sentenze l’atto di riscossione non impugnato avrebbe un impatto sui termini della prescrizione assimilabile alla sentenza di condanna dando luogo ad una situazione incontrovertibile. In realtà secondo le Sezioni Unite tale orientamento, che genererebbe la presunta “disarmonia” giurisprudenziale sarebbe invece generato da una lettura sbagliata, perpetratasi letteralmente “per inerzia” di una sentenza (ovvero la n. 17051 del 2004) che non aveva questo significato.
Nella sentenza del 2004 – in una controversia relativa ad un caso di iscrizione a ruolo per l’IVA – la Corte si è limitata ad affermare espressamente che per effetto della iscrizione “l’Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall’articolo 2946 del codice civile”, senza peraltro alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all’actio judicati.
Come detto invece le Sezioni Unite, isolato tale precedente non suscettibile di creare alcuna “disarmonia” (anche se esso ha generato, per la non corretta lettura, un filone successivo che avallava la conversione del termine più breve nel termine decennale di prescrizione per gli atti di riscossione non impugnati) ritengono di rifarsi a tutta la giurisprudenza di segno opposto consolidatasi ampiamente nel tempo, per la quale il disposto dell’art. 2953 cod. civ. è da ritenere applicabile esclusivamente nelle ipotesi in cui esista un titolo giudiziale definitivo.
E risolvono la questione con l’affermazione dei seguenti principi di diritto:
1) “la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione ad una cartella di pagamento per contributi INPS di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010)”;
2) “è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.
La questione può avere una qualche rilevanza anche in ambito di imposte. Anche in questo caso, sulla base della sentenza, solo se l’atto di accertamento o di riscossione viene impugnato e su di esso si forma il giudicato si produrrà la conversione al termine di prescrizione ordinario in ragione dell’art. 2953 del codice civile. Negli altri casi si applicheranno le norme sui termini decadenziali previsti dalle singole leggi d’imposta. La mancata impugnazione degli atti impositivi non ha la caratteristica di poter essere assimilata al titolo giudiziale divenuto definitivo.