Con sentenza n. 22479 del 16 ottobre 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Catallozzi) si è espressa facendo chiarezza in materia di trattamento fiscale dei c.d. “compensi reversibili” in merito ad una controversia sorta tra l’Agenzia delle Entrate ed una società a responsabilità limitata esercente attività di impresa di pulizia per edifici ed uffici.
Come è noto, il fenomeno del compenso reversibile origina da una consuetudine particolarmente diffusa all’interno dei gruppi societari consistente nel nominare membro dell’organo amministrativo di una società un soggetto già dipendente presso un’altra società del gruppo. In questi casi è previsto che la società amministrata non versi alcun compenso all’amministratore, ma si limiti a corrispondere al datore di lavoro un corrispettivo per l’utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell’attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messa a disposizione.
La Corte ha in primo luogo ricordato come ai sensi dell’art. 95, comma 5 del T.U.I.R. i compensi spettanti agli amministratori di società di persone e di capitali siano ‘deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti’ e quindi seguendo il principio di cassa. Gli stessi Giudici di legittimità hanno in tal senso rimarcato la natura eccezionale della disposizione appena citata, prevista evidentemente per evitare un potenziale disallineamento tra le regole di tassazione riguardanti il titolare del reddito di impresa (la società, che normalmente segue il principio di competenza) e quelle invece inerenti alle persone fisiche (l’amministratore). Come oggi sottolineato dalla Corte, del resto, la disciplina del principio di cassa di cui al citato art. 95 risulta inapplicabile alla fattispecie del compenso reversibile, caratterizzato come detto dalla mancanza di una erogazione di denaro (e quindi di una effettiva disponibilità della somma) nei confronti di colui che ha svolto l’attività di gestione; ragion per cui il costo, configurandosi quale spesa per la prestazione di servizi, deve essere dedotto secondo il generico principio di competenza.
Nei fatti una s.r.l. ricorreva per cassazione della sentenza della CTR Sicilia che rigettando il gravame della contribuente aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di quest’ultima con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione, tra gli altri, alcuni costi per prestazione di servizi ritenuti indeducibili. In particolare il giudice di appello, avvalorando la tesi dell’Ufficio, riconosceva deducibile il costo per compenso spettante al Presidente del Consiglio di amministrazione limitatamente all’importo di euro 30.000,00, pari alla somma erogata nel periodo di imposta; mentre la società contribuente lamentando come si fosse in presenza di un compenso c.d. reversibile, avente ad oggetto somme versate direttamente alla controllante, ne chiedeva la deduzione integrale secondo il principio di competenza.
La Corte, accolto il ricorso della società, ha affermato il principio di diritto secondo cui in tema di compensi reversibili “l’inapplicabilità della disciplina della deduzione del costo per attività di amministrazione societaria e del relativo principio, eccezionale, di cassa, determina, in applicazione delle regole generali sui componenti del reddito di impresa, la rilevanza del costo quale spesa per prestazione di servizi e la sua deducibilità secondo il principio di competenza”.