Con ordinanza n. 18419 del 30 giugno 2021 la Quinta Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Crucitti, Rel. Venegoni) torna ad esprimersi in merito al c.d. “principio di competenza” che regola la determinazione del reddito di esercizio dell’impresa in relazione ad una controversia sorta tra l’Amministrazione Finanziaria ed il socio di una s.a.s. la quale pur avendo nel 2005 effettuato prestazioni di servizio in favore della PA non ne aveva ancora ricevuto i relativi compensi.
Nei fatti il socio accomandatario di una s.a.s. impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, per l’anno 2005, gli attribuiva maggiori redditi a seguito dell’accertamento a carico della società per circa 79.000 euro. Il contribuente esponeva, tuttavia, che tale importo afferente compenso per prestazioni diagnostiche effettuate in convenzione con la Regione Campania non era mai stato percepito dalla società. Dopo l’annullamento in autotutela dei primi avvisi di accertamento, l’ufficio ne emetteva altri identici del contenuto, impugnati sia dalla società che dai due soci. La società ed i due soci poi definivano la loro posizione con definizione agevolata. Dopo che la CTP aveva respinto il ricorso, la CTR, disposta l’integrazione del contraddittorio con la società e l’altro socio, rigettava l’appello del contribuente sulla base del principio per cui le prestazioni erano state comunque effettuate nel 2005 e quindi i compensi dovevano ritenersi afferenti a quell’annualità in base al principio di competenza, anche se materialmente non percepiti, trattandosi di ricavi da attività di impresa. Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorreva il contribuente deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.p.r. 917 del 1986.
La Corte ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “In tema di imposte sul reddito d’impresa, la regola posta dall’art. 75 (oggi 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui i ricavi, i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare sia determinabile in modo oggettivo (dovendo altrimenti essere calcolati nel periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni), mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare: essa va quindi interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione. Pertanto, l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti del reddito in un determinato esercizio sociale incombe all’Amministrazione finanziaria per quelle positive, ed al contribuente per quelle negative; in particolare, nel caso in cui detti requisiti siano condizionati dall’espletamento di procedure amministrative, essi si intendono acquisiti, ai fini dell’imputazione del reddito corrispondente ad un determinato esercizio dell’impresa, solo attraverso il procedimento amministrativo che ne verifica i presupposti e ne liquida l’ammontare”.
I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso e ricordato come ai sensi dell’art. 109 del Tuir “i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”, hanno riconosciuto come, nel caso di specie, stante l’assenza di un atto di liquidazione della ASL, fino al completamento della procedura di liquidazione dei compensi da parte dell’ente pubblico, i ricavi in questione non fossero forniti del requisito della certezza, tali da renderli rilevanti ai fini fiscali.