“La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, in caso di conferimento in una società di beni immobili, diritti immobiliari od aziende, la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro va determinata deducendo dai beni e diritti conferiti solo ed unicamente le passività e gli oneri inerenti all’oggetto del trasferimento stesso e non anche le passività e gli oneri che, pur gravanti sull’immobile conferito, non possono dirsi assunte dalla società conferitaria per finalità connesse al perseguimento del proprio oggetto sociale (cfr. Cass. n. 475 del 2018; Cass. n. 9580 del 2013)”.
Questo è il principio enunciato dalla VI Sezione della Corte di Cassazione nella Ordinanza n. 9209 del 3 aprile 2019 (Pres. Iacobellis, Rel. Capozzi).
Per la sezione filtro è noto che l’art. 50 del d.P.R. n. 131 del 1986 ha trasposto nel nostro ordinamento la direttiva n. 335/69/CEE, secondo la quale l’imposta di registro è liquidata sul valore reale del bene di qualsiasi natura conferito o da conferire dai soci, previa deduzione delle obbligazioni assunte e degli oneri sopportati dalla società a causa di ciascun conferimento; non è quindi consentito alla norma nazionale la deduzione indiscriminata delle passività e degli oneri gravanti sul bene o sul diritto conferito, essendo al contrario necessaria un’attenta verifica, onde accertare la sussistenza di un collegamento fra le passività ed i beni conferiti, anche al fine di evitare mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario (cfr. Cass. n. 23234 del 2015). Con particolare riferimento al conferimento di immobili in società, ove i conferenti siano persone fisiche, la base imponibile non può quindi essere depurata delle passività connesse ad ipoteche che, come nel caso in esame, pur se gravanti sull’immobile conferito nella società, sono state accese dai conferenti per ottenere un loro personale finanziamento, in epoca anteriore al conferimento dell’immobile in società.