In tema di prova della conoscibilità (o viceversa della non possibile percezione) della frode a monte l’anno 2018 si era aperto con due ordinanze della sesta sezione (numero 3473 e numero 3474 del 13 febbraio 2018) che avevano fatto pensare ad una sostanziale inversione dell’onere della prova: in sostanza l’amministrazione sarebbe chiamata solo a provare la frode dal lato del cedente, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare la sua non conoscibilità nel caso specifico.
Poi le pronunce hanno decisamente preso un conforme orientamento in senso opposto, ovvero favorevole al contribuente. Già l’ordinanza 19 aprile 2018 n. 9721 della Sezione Tributaria aveva fatto una accurata disamina della questione e, per certi versi, appare oggi come una pronuncia di riferimento in materia. In essa, sul punto si leggeva “Dato che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, spetta all’amministrazione tributaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni (cfr. CGUE 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; CGUE 21 giugno 2012, Mahagében e Dóvid, C-80/11 e C-142/11; CGUE 6 settembre 2012, Tóth, C- 324/11; CGUE 6 dicembre 2012, Bonik, C- 285/11; CGUE 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C-642/11)”. Quindi un onere della prova chiaramente a carico dell’amministrazione.
Anche la sentenza 24 aprile 2018 n. 10036 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione aveva confermato questo orientamento così come la sentenza n. 9851 del 10 aprile 2018.
Proprio quest’ultima pronuncia viene ripresa dalla sentenza 9 novembre 2018 n. 28659 della Sezione Tributaria (Pres. Bruschetta, Rel. Fuochi Tinarelli), che conferma l’orientamento “garantista”.
Riportando alcuni passaggi della sentenza dello scorso aprile appena menzionata, la Corte ricorda che l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta.
In sostanza, viene ribadito che:
– la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;
– incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
Nel caso specifico le ragioni esposte nella sentenza della CTR vengono ritenute idonee e il ricorso della contribuente viene dunque respinto. Ma il principio dell’onere probatorio a carico dell’amministrazione, per ciò che attiene alla conoscibilità della costruzione fraudolenta, viene confermato. La prova non va inoltre limitata alla fittizietà del fornitore, come le ordinanze di febbraio avevano invece asserito. Ma deve appunto concentrarsi sugli elementi che, con l’ordinaria diligenza, avrebbero dovuto segnalare nell’acquirente l’anomalia della situazione del venditore.