Niente di particolarmente innovativo nella Ordinanza 29 settembre 2016 n. 19331 della VI Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Vella). Essa contiene comunque una esposizione precisa e completa di alcuni concetti come sono stati sviluppati finora dalla suprema Corte. Ed in attesa di ulteriori sviluppi.
La questione verte sull’articolo 12 comma 7 dello Statuto del Contribuente e sulla interpretazione che ne hanno data le Sezioni Unite nel 2013 che appare, almeno per gli aspetti sottolineati in questa ordinanza, non smentita dalla sentenza delle Sezioni Unite del dicembre scorso (24823/15). In sintesi e schematicamente:
- La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non prevede alcuna distinzione, nemmeno in via interpretativa, tra verbale di chiusura di operazioni di controllo o di mero accesso istantaneo finalizzato ad acquisire documentazione e pertanto risulta arbitrario applicare il termine di 60 giorni distinguendo a seconda del tipo di operazione svolta dall’Ufficio” (Cass. Sez. V, n. 15624/14)
- La redazione di un verbale è sempre necessaria, “anche in caso di mera acquisizione di documentazione”, alla luce del chiaro disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, per cui di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute.
- Una volta redatto il verbale, va in ogni caso rispettato l’obbligo di emanare l’avviso solo dopo sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di accesso o di ispezione, salvo casi di particolare e motivata urgenza (Cass. s.u. 18184/13). Detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.
- Per i “tributi armonizzati” soggetti al diritto dell’Unione (la specifica vicenda concerne l’IVA), la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto anche in mancanza di una specifica disposizione di legge che lo preveda, sia pure a condizione che “in giudizio il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere”, e che esse, con riferimento al momento del mancato contraddittorio, non si rivelino pretestuose, secondo i canoni di correttezza, buona fede e lealtà processuale, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale.