Si è fatto un gran parlare negli ultimi mesi, alla luce degli importantissimi sviluppi giurisprudenziali, dell’obbligo del contraddittorio procedimentale ex art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente e dei rapporti tra questo obbligo e il caso degli accertamenti “a tavolino”, cioè non in azienda. Abbiamo già abbondantemente trattato dell’asserita differenza tra i due generi di accertamento secondo le Sezioni Unite e dell’ipotizzata (dalla CTR Toscana) illegittimità costituzionale della norma citata sotto il profilo della differenza che crea tra un tipo di accertamento e l’altro.
Con ciò si rischia di dimenticare, però, che l’obbligo di contraddittorio preventivo negli accertamenti tributari esiste già per tutti gli strumenti di natura parametrica. Ed esiste in quanto il 18 dicembre 2009 le Sezioni Unite, con varie sentenze (nn. 26635, 26636, 26637 e 26638) hanno stabilito la necessità di adattare ogni metodologia di natura statistico-induttiva alla specifica realtà aziendale proprio attraverso il contraddittorio con il contribuente.
L’ Ordinanza 16 maggio 2016, n. 10047 della Corte di Cassazione, VI Sezione, Pres. Iacobellis, Rel. Caracciolo, ci riporta proprio su questi principi e lo fa per un contribuente il quale, malgrado avesse sollevato l’eccezione ritualmente, si era visto respingere il ricorso prima e l’appello poi dai Giudici di merito.
La Corte riporta testualmente il passaggio delle sentenze del 2009 (la n. 26635) secondo il quale: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”.
Secondo la VI Sezione, “alla luce di questi principi, il giudicante avrebbe dovuto previamente esaminare l’eccezione pregiudiziale posta dal contribuente, in ordine alla quale si è risoluto ad un rigetto sulla scorta di una mera affermazione apodittica e priva di giustificazione alcuna”.
La sentenza di appello viene quindi cassata con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio.