L’Ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 5095 del 21 febbraio 2019 (Pres. Chindemi, Rel. Stalla) decide su un ricorso presentato dal Comune di Milano in tema di sanzioni ICI.
E lo fa richiamando precedente giurisprudenza (18503/2010) secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, l’omessa indicazione, nella dichiarazione (come nella denunzia di variazione) di cui all’ art. 10, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, anche di un solo cespite immobiliare soggetto ad autonoma imposizione, costituisce omessa dichiarazione (o denunzia) dello stesso cespite.
Quindi tale violazione non è riconducibile alla denuzia infedele ma vera e propria omissione della denunzia stessa.
La fattispecie è punibile, ai sensi del comma 1 dell’ art. 14 dello stesso d.lgs., a titolo di ‘omessa presentazione della dichiarazione o denuncia’, e non già, ai sensi del comma 2 della stessa norma, quale ‘dichiarazione o denuncia … infedeli’, non essendo la dichiarazione ICI diretta a determinare il complessivo coacervo patrimoniale, unitariamente considerato a fini di una unica soggezione ad imposizione fiscale ed essendo equiparata, a livello sanzionatorio, la fattispecie di ‘omessa denunzia’ a quella di ‘omessa dichiarazione’ delle sopravvenute ‘modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’ imposta dovuta’.
Nella sentenza del 2010 richiamata questa affermazione serviva alla ricostruzione della legittimità e tempestività dell’azione accertativa (per via del termine allungato di un anno in caso di omessa dichiarazione). Per la Sezione Tributaria, tuttavia, non vi è dubbio che esso debba trovare unitaria e coerente applicazione (anche) in terna di determinazione delle sanzioni.